L’Ue accelera sulla difesa: cosa cambia con la Schengen militare

Tra i problemi più consistenti della difesa europea c’è, da tempo, quello della logistica. Un problema strettamente connesso con la nostra capacità e che si articola in due diverse declinazioni. La prima è quella della condizione di strade, ferrovie e ponti, che in molti casi non sono adatte al trasferimento di mezzi pesanti o di armi; il secondo è quello normativo: allo stato attuale delle cose, infatti, le truppe di un Paese non possono entrare in un altro, a meno di essere state autorizzate tramite un lungo processo che può arrivare a richiedere fino a 45 giorni. Così, se, per esempio, la Francia o la Germania si trovassero nelle condizioni di dover spostare mezzi e truppe sul confine orientale dell’Unione, per farlo avrebbero due strade: o aspettare i tempi della burocrazia e rimandare il trasferimento di settimane, oppure compiere una serie di “invasioni” degli Stati che le separano dal fronte Est. Uno stato di cose paradossale, che certo, probabilmente in caso di emergenza verrebbe superato e aggirato, ma che comunque la Commissione si è ripromessa di risolvere, così da rispettare il suo proposito di “Readiness 2030”, cioè di essere pronta nel caso in cui nel 2030 la previsione degli analisti NATO si rivelasse fondata e la Russia tentasse di aggredire l’UE. Uno stato di cose che, però, allo stesso tempo, si inserisce in un quadro più complesso, figlio, insieme a molte altre cose, del complessivo ritardo con cui l’Unione Europea si sta affacciando al mondo della guerra e della difesa, per molti anni ritenuto impossibile e apertamente stigmatizzato. Già nel 2011, per esempio,l’istituto svedese SIPRI notava come si stesse aprendo un divario a forbice tra gli Stati Uniti, che stavano investendo sempre di più in armi e logistica, e l’UE che stava sempre più apertamente trascurando la questione, ritenendola superflua. A quell’epoca, forse lo era. Ma potrebbe non esserlo più ora che al confine con l’Europa si combatte una guerra che, in un futuro non lontano, potrebbe riguardare il terreno dell’UE. E per questo le istituzioni europee stanno correndo ai ripari, nel tentativo, per molti aspetti improbo, di colmare un ritardo di decenni. La proposta della Commissione Europea di una “Shengen della difesa” va in questo senso e tenta di avviare l’EMERS, cioè Sistema europeo di risposta potenziata per la mobilità militare. Si tratta di un sistema che consentirebbe ai Paesi membri, o alla Commissione stessa, di proporre la sospensione temporanea delle normali norme sui trasporti in caso di emergenza e di adottare un'unica procedura di autorizzazione per spostare dispositivi militari per tutti i 27 Paesi dell'UE. Questo, nelle intenzioni della Commissione, potrebbe creare una "zona Schengen militare", “che - scrive Guardian- consenta agli eserciti di muoversi attraverso l'area di transito senza frontiere dell'UE con la stessa facilità dei civili. Ha proposto un sistema di emergenza per il trasporto militare transfrontaliero che darebbe priorità ai convogli militari sulla rete di trasporto.In caso di emergenza, gli eserciti otterrebbero esenzioni dalle consuete norme dell'UE, come i periodi di riposo obbligatori per i conducenti di veicoli pesanti, nonché procedure doganali più rapide per hardware e forniture militari, compresi i prodotti alimentari, in arrivo al confine esterno dell'UE”. L’idea di una apertura dei confini e di una mobilità di uomini e mezzi, però, risolve solo una parte dei problemi della logistica militare europea. L’altra parte, di cui pure la proposta della Commissione cerca di farsi carico, è se possibile ancora più complicata e riguarda la condizione di strade, ponti, ferrovie, che spesso non hanno né capienza né portanza per consentire il transito di mezzi pesanti. "Permangono ostacoli significativi a un'efficace mobilità militare nell'UE", osserva Politico riferendosi sia alle ragioni normative sia a più prosaiche questioni di manutenzione . Così la Commissione ha individuato quattro corridoi militari principali e 500 punti cruciali che oggi rappresentano dei colli di bottiglia: strade troppo strette, ponti troppo fragili, sottopassaggi troppo bassi, ferrovie non abbastanza capaci. L’ipotesi di stanziamento della Commissione per le opere di adeguamento a queste infrastrutture è di circa 100 miliardi da reperire o dai fondi UE o da fondi nazionali o da investimenti privati. Ma soprattutto da reperire in fretta.

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Luciana Grosso