Perché la destra radicale rischia di tornare al potere in Cile

Ieri, in Cile, il primo turno del ballottaggio è stato vinto dalla candidata di sinistra Jeannette Jara, militante del Partito Comunista del Cile oltre che ministro del lavoro e del Welfare nel governo uscente di Gabriel Boric, e ministro della sicurezza nel governo di Michelle Bachelet . La vittoria di Jara, però, sembra avere poche possibilità di essere confermata al ballottaggio, che si terrà tra un mese e nel quale la candidata si scontrerà con l’esponente dell’estrema destra José Antonio Kast, figlio di un ex tenente nazista fuggito in Cile nel 1950 e al terzo tentativo di presidenza. Le ragioni per cui secondo gli analisti il ballottaggio potrebbe premiare Kast è legata sia al risultato di Jara, fermatasi al 27%, cioè al di sotto del 30% che le era stato attribuito dai sondaggi di prima del voto, sia al fatto che Kast potrà pescare dai voti degli altri candidati di destra che, verosimilmente, convergeranno sul suo nome, superando il 50%. Se questo scenario si verificasse sarebbe l’ennesimo successo di un progetto di estrema destra in America Latina e soprattutto sarebbe un segnale del fatto che la memoria dell’orrore, piuttosto recente, della sanguinaria dittatura di Augusto Pinochet è stata rimossa. O quanto meno superata da ragioni contingenti, come il costo della vita o l’allarme criminalità. Questo perché, al di là dell’aritmetica, a portare vento nelle vele di Kast ci sono da un lato i risultati sostanzialmente esigui del governo di sinistra di Gabril Boric, dall’altro l’arrivo nel Paese di un fenomeno sino ad ora quasi sconosciuto: la criminalità organizzata dei Narcos, per contrastare la quale il Cile sembra non avere né infrastrutture né anticorpi. Così il risultato elettorale di Jara sembra scontare colpe solo in parte sue, e maggioritariamente del Premier Boric, da tempo impopolarissimo. A rendere sempre meno amata la figura del premier, un tempo sostenuta da un forte consenso, è stato il fatto che Boric si è ritrovato a dover far quadrare la sua agenda di riforme con una realtà economicamente difficile: “Quando entrò in carica nel 2022 - scrive New York Times - il signor Boric, ereditò un Paese sotto stress, scosso da proteste mortali e dalla pandemia di coronavirus, e alle prese con un'ondata di criminalità organizzata e migrazioni che lo hanno costretto a riorientare la sua agenda. Alla guida di un governo di minoranza, il signor Boric dovette negoziare con gli altri partiti del Congresso e il rifiuto alle urne di una nuova Costituzione fece naufragare molti dei suoi piani”. Il prevedibile risultato del fatto che l’agenda di Boric sia stata ridimensionata dalla realtà contingente del Paese e dalla sconfessione referendaria della nuova costituzione, è stato quello di una completa sfiducia nei confronti della compagine di sinistra che lo sosteneva e il riversarsi dell’elettorato nelle fila dei partiti di destra e di estrema destra: “Boric - scrive El Pais- ha governato basandosi su una serie di presupposti che si sono rapidamente rivelati errati, e la sua successiva correzione – che alcuni hanno considerato un profondo cambiamento socialdemocratico – non solo è stata incompleta, ma ha anche lasciato l'economia sull'orlo del collasso, sostenuta solo dalla forza delle sue istituzioni, in particolare la Banca Centrale e il Consiglio Fiscale, entrambi enti autonomi”, scrive El Pais. A tutto questo, di recente, si è aggiunto, nell’agenda pubblica cilena, un grande allarme per la sicurezza e la lotta alla criminalità organizzata. Un tema che fino a pochi mesi fa era quasi del tutto sconosciuto ai cileni che si pregiavano di vivere in un Paese latino americano immune dalla piaga delle gang e del narcotraffico. Ma questo isolamento dorato si è interrotto negli ultimi anni a seguito dell’arrivo, nel Paese, dell’immigrazione venezuelana, nella quale, tra i migranti, si sono confusi anche i narcotrafficanti del cartello venezuelano del Tren de Aragua. Secondo il sito Insight Crime “rlementi del Tren de Aragua seguirono le tracce dei migranti venezuelani in Cile, facendo di questi migranti le loro prime vittime [...] per controllare i valichi di frontiera e il traffico di migranti per poi dominare i mercati criminali. Il gruppo integrò i suoi crimini, sfruttando sessualmente le donne migranti e costringendo gli altri migranti che attraversavano il confine a trasportare droga”. Tutto questo ha spaventato i cileni che hanno messo, secondo i sondaggi, la sicurezza in cima alle loro priorità e hanno accolto con estremo favore l’agenda di Kast, completamente concentrata sul fermare l’immigrazione e sul reprimere la criminalità. Il tutto in un contesto economicamente difficile, sia perché la crescita economica del Paese, dopo una fase di espansione, sembra essere in affanno, sia perché il Paese, primo produttore di rame al mondo, si trova al centro di importanti traffici di materie prime. Un tema quest’ultimo che rende le elezioni cilene particolarmente delicate e che, se la vittoria di Kast venisse confermata, potrebbe rendere il Paese un importante alleato degli USA: “Una presidenza Kast - scrive Wall Street Journal - potrebbe offrire a Trump un altro alleato strategico in America Latina, mentre gli Stati Uniti puntano ad aumentare gli investimenti nel settore minerario contrastando al contempo l'influenza cinese. Il Cile è uno dei paesi più prosperi e sviluppati dell'America Latina. Detiene circa un quarto delle riserve mondiali di rame e un terzo delle riserve globali di litio, essenziali per le batterie dei veicoli elettrici, una ricchezza mineraria che gli investitori hanno trovato difficile da sfruttare”.

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Luciana Grosso