Perché l'inverno sarà decisivo per capire il destino dell'Ucraina

L’inverno 2025 potrebbe rappresentare un passaggio decisivo per una guerra ormai entrata nel suo quarto anno e per un Paese che da quasi quattro anni continua a resistere. Finora l’Ucraina ha potuto contare su determinazione, capacità d’adattamento e un’intensa mobilitazione civile e militare, ma queste qualità rischiano di non essere sufficienti di fronte alla capacità russa di sostenere un conflitto prolungato. Mosca dispone infatti di un numero molto ampio di uomini, di un apparato industriale sempre più orientato alla produzione bellica e di un contesto politico in cui il governo non deve rispondere a un’opinione pubblica pluralista. Alle forniture interne si aggiungono inoltre quelle provenienti da Paesi alleati — Iran, Cina e Corea del Nord — che contribuiscono a mantenere costante il flusso di equipaggiamenti e munizioni. L’Ucraina si muove invece in condizioni più complesse. La società resta in larga parte coesa, ma la stanchezza è evidente; il reclutamento incontra ostacoli e gli approvvigionamenti di armi soffrono rallentamenti significativi. Negli ultimi due anni Kiev ha sviluppato un’industria bellica più dinamica, soprattutto nel settore dei droni, ma la riduzione degli invii statunitensi ha inciso sulla disponibilità di materiali essenziali, svuotando di fatto alcuni magazzini. Le conseguenze si riflettono sul terreno. Negli ultimi mesi le forze ucraine hanno perso posizioni, in particolare nell’area strategica di Pokrovsk, un nodo rilevante sulla linea che potrebbe consentire alle forze russe di avvicinarsi alla cosiddetta “cintura delle fortezze” nella parte occidentale del Donetsk. Si tratta di sviluppi potenzialmente gravi, ma che potrebbero essere contenuti nel caso in cui gli invii statunitensi tornassero a pieno ritmo. A complicare ulteriormente la situazione concorrono due fattori politici strettamente collegati: l’incertezza sul finanziamento europeo alla difesa ucraina e un nuovo caso di corruzione interno al governo di Kiev. Sul fronte europeo, l’UE sta affrontando difficoltà sempre più evidenti nel reperire risorse per sostenere gli approvvigionamenti militari dell’Ucraina. La decisione della presidenza Trump di vendere — e non più fornire gratuitamente — le armi a Kiev ha aumentato i costi per l’Europa. Per colmare il divario, la Commissione ha proposto di utilizzare gli asset russi congelati come garanzia per emettere obbligazioni a tasso zero destinate all’Ucraina. È un’operazione politicamente significativa, ma che presenta rischi: si tratta infatti di beni congelati, non sequestrati, e potrebbero teoricamente dover essere restituiti a fine guerra. Belgio e Slovacchia hanno già espresso riserve rilevanti, temendo ricorsi legali e possibili ritorsioni da parte di Mosca. Senza un’intesa su questo schema, l’UE farebbe più fatica a garantire un flusso stabile di risorse. Nel frattempo, un nuovo scandalo di corruzione sta creando difficoltà a Kiev e imbarazzo in Europa. Le autorità anticorruzione ucraine hanno infatti rivelato presunte irregolarità che coinvolgerebbero alcuni collaboratori vicini al presidente Zelenskyy, accusati di aver manipolato contratti della società statale Energoatom per estorcere tangenti pari al 10–15% del loro valore, per un totale stimato di circa 100 milioni di dollari. È un caso che, se confermato, avrebbe un impatto politico significativo, anche alla luce del forte sostegno finanziario garantito finora dall’UE. Per ora Bruxelles non ha modificato la propria posizione e, proprio nelle ultime ore, ha confermato un ulteriore stanziamento di 6 miliardi. Tuttavia, in un momento in cui le risorse sono più scarse e il consenso politico intraeuropeo è più fragile, episodi di questo tipo rischiano di alimentare dubbi e cautela, incidendo sulla disponibilità dei Paesi membri a sostenere Kiev con la stessa intensità del passato.

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Luciana Grosso