30 anni fa l’assassinio di Itzhak Rabin: cosa è cambiato?

Chi applaudiva all’assassino, ora è al governo. Chi si opponeva alle scelte Rabin dai banchi dell’opposizione, accusandolo di essere un traditore inginocchiato ai terroristi come Arafat, è ora primo ministro, il più longevo della storia del paese, Benjamin Netanyahu. Chi manifestava ai suoi comizi, raffigurando Rabin con la divisa nazista o la kefiah sporca di sangue in testa, fa parte del partito di maggioranza che guida il paese quasi ininterrottamente da più di 15 anni. In molti, allora, temevano che il Premier Rabin potesse subire un attentato, ma pochi avevano capito che a portarlo a termine poteva anche essere un ebreo israeliano di estrema destra e non un fondamentalista islamico. Quel 4 novembre 1995 Israele perse la sua verginità, dissero in molti. Per la prima volta conobbe la violenza omicida dell’opposizione politica interna. Al funerale del marito, Leah Rabin esitò a lungo prima di stringere la mano al capo dell’opposizione Netanyahu che considerava moralmente responsabile dell’assassinio. Da allora la Storia non si è fermata ma israeliani e palestinesi hanno imboccato una strada che li ha portati dritti alla tragedia del 7 ottobre, dei massacri e della distruzione di Gaza. Nel 1995 lo Stato d’Israele aveva un capo del governo premio Nobel per la Pace. Nel 2025 al suo posto siede un Primo Ministro accusato di crimini contro l’umanità. Nel 1995 il premier Rabin, nella sera in cui fu ucciso, riunì più di 100 mila persone in piazza per sostenere i suoi sforzi di pace: terra ai palestinesi in cambio di un mutuo riconoscimento e della fine degli scontri. Nel 2025 Netanyahu parla in tv e in Parlamento per promettere che mai nascerà uno Stato palestinese, e mai Israele lascerà la Cisgiordania. Trent’anni fa Hamas, che già metteva bombe e faceva saltare in aria autobus e ristoranti per sabotare la pace, era quasi unanimemente considerato un gruppo di terroristi contrario alla pace e agli interessi degli stessi palestinesi. Oggi all’estero, in occidente, alle Nazioni Unite, c’è chi lo considera un legittimo movimento di resistenza. E ancora, nel 1995 il governo israeliano si scontrava contro il movimento dei coloni, affidava alla neonata Autorità Palestinese il controllo di intere città ed aree della Cisgiordania. Nel 2025 i coloni, protetti dal premier e da alcuni ministri assaltano con violenza civili e proprietà palestinesi in Cisgiordania senza che l’esercito agisca per porre fine una volta per tutte alle loro aggressioni. Fino a quel 4 novembre del 1995,per due anni, il mondo aveva guardato a ciò che stava avvenendo in Israele e nei territori palestinesi con un misto di speranza e fiducia. Le due parti si sforzavano di reprimere passati rancori per vedersi con occhi diversi. “La pace, del resto - ripetevano tutti come un mantra - si fa con i nemici, con chi non ti è simpatico ed hai combattuto fino a ieri”. Oggi il Medioriente è sinonimo di guerra, massacri, estremismo, conflitto inestricabile tra due popoli avviluppati in una spirale di violenza. Molto è successo in questi trent’anni. E come sempre le due narrative opposte danno la colpa l’una ai palestinesi, l’altra agli israeliani. C’è chi accusa i primi di aver rifiutato la spartizione della terra che gli fu proposta anche nel 2000, di aver trasformato Gaza, libera dall’occupazione israeliana, in una base per terroristi invece che un modello di sviluppo, e di aver poi, con il massacro del 7 ottobre, svelato il loro vero ed unico obiettivo, quello di uccidere gli ebrei e gli israeliani. C’è chi, invece, accusa questi ultimi di aver solo preso in giro un popolo per lasciarlo sotto il tallone di un’occupazione militare durissima, di aver solamente costruito e costruito colonie per rendere impossibile la nascita di uno Stato palestinese, e poi, con la guerra a Gaza successiva al 7 ottobre di aver svelato il loro vero volto ed unico obiettivo, quello di uccidere e sterminare i palestinesi. In mezzo ci sono due popoli senza reali speranze di pace e due società dilaniate dalla tragedia che le ha travolte, seppure in maniera e misura differente. Mentre in Israele, in questo 30simo anniversario, tra chi scende in piazza ogni settimana contro il governo e il premier, riemerge una sorta di nostalgia per quel periodo di speranza e fiducia rappresentato da Rabin ed interrotto col suo omicidio, riemerge la voglia di tornare a rischiare per avere la pace, sapendo ormai però che i nemici da cui guardarsi, pronti a rompere il sogno, sono tanti e ovunque, anche dentro Israele, anche al governo.

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30 anni fa l’assassinio di Itzhak Rabin: cosa è cambiato?

Renato Coen