Asset russi e Mercosur: perché questo Consiglio europeo è cruciale

Una vecchia e molto abusata frase di uno dei padri fondatori dell’UE, Jean Monnet, recita: “L'Europa si farà nelle crisi, e sarà la somma delle soluzioni che daremo a quelle crisi". Una dichiarazione particolarmente adatta a queste ore, in cui si tiene uno dei Consigli Europei più importanti degli ultimi anni. Sul tavolo dei 27 capi di Stato e di governo ci sono vari temi, ma soprattutto due sono cruciali per il presente e il futuro dell’Ue. Perché infatti, a seconda di quale sarà l’esito della riunione di oggi, capiremo se l’Unione è o meno un’istituzione in grado di assumersi dei rischi per portare avanti soluzioni che ritiene giuste, o se invece è un’istituzione paralizzata dalla sua stessa prudenza e complessità. In particolare questo si scoprirà rispetto a quello che il Consiglio deciderà rispetto all’uso degli Asset Russi congelati e all’accordo commerciale con il Mercosur. Per quel che riguarda gli uso degli asset russi, da tempo caldeggiato dalla Commissione e dalla presidente Ursula Von der Leyen, che ne ha parlato in aula nel corso del suo discorso sullo stato dell’unione dello scorso settembre, si tratta di decidere se l’Europa possa o meno varcare il simbolico Rubicone dell’uso dei beni russi congelati e custoditi in UE. Si tratta in buona sostanza di circa 200 miliardi di fondi e beni vari di proprietà russa ma che, per varie ragioni, si trovano in Europa. Nel 2022, dopo lo scoppio della guerra, l’UE ha congelato questi fondi, cioè ha impedito ai proprietari russi di accedervi. Non li ha però requisiti. Il che significa che, questi beni, sono rimasti di proprietà russa e che, in teoria, a guerra finita, questi dovrebbero essere restituiti tali e quali a Mosca. In questa fase però, l’UE, ha enorme bisogno di liquidità per finanziare la difesa di Kiev che di fatto, dopo il sostanziale ritiro americano dall’alleanza, è finanziariamente sulle sue sole spalle. Da questa urgenza di liquidità è nata l’idea di usare i circa 200 miliardi di asset russi. Affinchè questo sia possibile, però, occorre che arrivi un via libera dal Consiglio. Un via libera che, però, per ora, non sembra esserci. Anzi, appare molto lontano. A opporsi alla decisione non sono solo “i soliti sospetti” di Ungheria e Slovacchia. Ma anche Paesi di maggiore calibro e peso come l’Italia e il Belgio. L’italia, perché la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ritiene che occorra assicurare un impalcatura di legittimità giuridica a questa azione, così da renderla sostenibile in tribunale, altrimenti tutto questo rischierebbe di trasformarsi in un autogol e in una freccia all’arco di Putin che, secondo la premier, ‘potrebbe ottenere così la sua prima vera vittoria in questa guerra’. Il Belgio, invece, si oppone perché non abbastanza rassicurato dal sistema di garanzie approntato dalla Commissione per ‘proteggere’ il Paese che, in quanto sede fisica è custodita gran parte di questi asset potrebbe doversi trovare a risponderne. La Germania e i Paesi nordici, invece, sono assolutamente convinti che questa sia la strada da percorrere, per salvare l’Ucraina e l’Europa stessa, oltre che, e non è un dettaglio da poco, anche la faccia. Inoltre, a questi stessi Paesi, l’ipotesi alternativa all’uso di asset russi, non piace per nulla , ossia la sottoscrizione di debito comune garantito dal bilancio UE. Quest’ultima è senza dubbio una scelta più prudente e percorribile, ma che è invisa a chi non capisce perché l’UE debba ricorrere a una misura straordinaria come la sottoscrizione di debito comune, per tutelare l’intangibilità dei beni di un Paese che, alla fine dei conti, è un nostro nemico. Non meno divisiva, e dirimente per il presente e il futuro dell’UE, sarà la discussione sulla stipula dell’accordo commerciale con il Mercosur. L’accordo, che fino a poche ore fa sembrava cosa fatta, eliminerebbe i dazi dalle merci che viaggiano tra l’UE e i quattro Paesi dell’area del Mercosur . Se andasse in porto aprirebbe praterie commerciali alla manifattura europea e consentirebbe all’Ue di avere accesso a una fetta consistente del mercato delle materie prime . D’altra parte però, aprirebbe il mercato europeo ai prodotti agricoli e soprattutto di allevamento sudamericani. Nonostante le numerose clausole di salvaguardia inserite dalla Commissione per evitare che l’agricoltura e l’allevamento europei siano nanificati da quelli di Brasile e Argentina, e soprattutto per fare in modo che i trattamenti fitosanitari cui sono sottoposti piante e animali siano sicuri come quelli europei, da parte della Francia sono rimaste numerose perplessità. Così tante che poche ore prima dell’inizio del Consiglio che avrebbe dovuto sancire la firma dell’accordo, dopo trent’anni di trattative, il presidente francese Macron ha chiesto un ulteriore rinvio. Una posizione che, per quel che se ne sa, è condivisa anche dalla premier italiana Giorgia Meloni. Quale sarà l’esito di queste due discussioni, lo sapremo solo fra qualche ora. E se Jean Monnet aveva ragione sapremo anche molto altro.

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Luciana Grosso