Perché il voto in Olanda può cambiare la geografia politica dell'Ue

Era da tempo, almeno dal voto del 2023 in Polonia, che i vertici dell’UE non tiravano un sincero sospiro di sollievo per l’esito di un’elezione nazionale. E invece, ieri, è successo. I Paesi Bassi hanno respinto, seppur di misura, la proposta xenofoba e anti europeista del Partito della Libertà di Geert Wilders e sposato, invece, quella europeista del partito liberale D66. Per Bruxelles si tratta di un’ottima notizia. Non solo perché il voto olandese ha scongiurato l’ipotesi che un altro seggio del Consiglio Europeo venisse occupato da un leader nazionale che mira all’indebolimento del blocco invece che al suo rafforzamento. Ma anche perché dimostra che il successo elettorale dei partiti dell’estrema destra anti UE può essere arginato. E persino invertito. Nel 2023 , infatti, il partito anti europeista e anti immigrazione di Wilders aveva vinto le elezioni con un buon margine. Il risultato - per come funzionano le cose in Olanda - non gli aveva consentito di governare da solo, ma solo di diventare l’azionista di maggioranza di una coalizione di governo. Una coalizione composita e litigiosa e che comprendeva un ampio ventaglio di partiti, dai liberali di centro destra del VVD dell’ex premier Mark Rutte, al partito negazionista climatico del BBB. L’incarico di premier, in quel caso, era stato assegnato a un ex funzionario dei servizi olandesi: Dick Schoof. L’esecutivo, così come la composita maggioranza che rappresentava, sono durati meno di un anno. A farlo cadere, la scorsa primavera, era stato il suo stesso regista, Geert Wilders, convinto che le misure anti-immigrazione proposte non fossero sufficienti. L’intenzione, verosimilmente, era quella di andare a elezioni anticipate e passare all’incasso di una maggioranza ancor più ampia. Le cose però non sono andate come previsto. In primo luogo perché lo sfilarsi di Wilders dalla maggioranza ha infastidito molti degli elettori centristi che gli avevano dato fiducia. In secondo luogo perché il Partito della Libertà si è fatto ‘superare a destra’ da un altro gruppo, ancora più xenofobo e anti europeista, il JA 21. In terzo luogo perché nessuno aveva previsto il carisma e la carica umana di Rob Jetten, leader del partito di centro sinsitra D66, che in pochi mesi ha guadagnato fiducia e popolarità, sino ad affermarsi, in queste elezioni come vincitore e probabilmente prossimo premier. Bene, a onor del vero, è andato anche l’altro partito liberale, il VVD, arrivato terzo. Male, anzi, malissimo, sono andati i socialisti di Frans Timmermans, che i sondaggi davano per secondo, ma che invece è arrivato quarto . Nonostante, come fa notare Guardian, le dinamiche della politica olandese e del suo sistema proporzionale siano tali che non è chiaro che forma e che colori assumeranno il nuovo esecutivo e la nuova maggioranza, quel che appare verosimile è l’avvio di una nuova coalizione di centro, leggermente sbilanciata a sinistra, data la vicinanza del leader di D66 alle ragioni degli ambientalisti. Uno scenario che, da un lato, conferma la lunga tradizione centrista degli olandesi , dall’altro rafforza l’UE. Anche se, su questo fronte, le cose potrebbero andare meno lisce del previsto e del prevedibile. Perché si, certamente Bruxelles potrebbe gioire di avere un Paese governato da una coalizione che mira a una Europa più coesa e federalista e che tiene in grande conto i vincoli di bilancio. Ma allo stesso tempo ci potrebbero essere frizioni. Specie sul tema ambiente, che sta molto a cuore a D66, e sempre meno all’UE. Questo perché come fa notare ancora Politico, negli ultimi mesi le posizioni dell’UE rispetto al Green Deal, sono molto cambiate. Infatti, se fino a un anno fa, la Commissione Europea, forte di un parlamento con una corposa componente verde, aveva sostenuto e attuato misure di grande contenimento delle emissioni nocive, ora, con il nuovo parlamento in cui i verdi si sono ridotti, e i negazionisti climatici sono diventati la terza forza dell’aula, le cose sono cambiate. Il probabile prossimo premier olandese, invece, sembra deciso a ribaltarle di nuovo. E a rendere il Green Deal Great Again. Altro che noia.

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Luciana Grosso