Un presidente di 92 anni per un Paese di ventenni: la frattura del Camerun

L’ultima elezione presidenziale in Camerun è stata, allo stesso tempo, una delle più prevedibili e una delle più contestate di sempre. È stata prevedibile, perché in Camerun, dal 1982, c’è sempre lo stesso presidente, Paul Biya, uomo forte alla guida del Paese da 42 anni, che non si fa quasi mai vedere in pubblico e, all’età di 92 anni, ha vinto per l’ottava volta le elezioni, preparandosi a governare per altri 7 anni. Quindi la sua conferma non ha stupito nessuno. Allo stesso tempo, però, le elezioni sono state movimentate e sorprendenti, perché il risultato è stato contestato non solo dal principale candidato di opposizione, Issa Tchiroma Bakary, ma anche dalla piazza, che ha manifestato con vigore e sdegno, scatenando una durissima repressione da parte delle forze dell’ordine. “Dopo le elezioni, attivisti della società civile e membri del pubblico hanno pubblicato online i tabelloni elettorali accessibili al pubblico, che mostravano una schiacciante vittoria dell'opposizione” scrive l’osservatorio di International Crisis Group. Tre candidati presidenziali hanno subito riconosciuto il trionfo di Tchiroma che ha, a sua volta rilanciato l’accusa di brogli. Dopo che il Consiglio Costituzionale ha annunciato un riconteggio, i manifestanti sono scesi in piazza per sfogare la loro rabbia per quella che definiscono un'elezione truccata. Le riprese televisive hanno mostrato cecchini appostati sui tetti vicino all'abitazione di Tchiroma, dove la gente si è radunata per proteggerlo dall'arresto. Le scene della polizia che risponde con fuoco vivo e le crescenti segnalazioni di morti hanno alimentato l'indignazione pubblica, in particolare nella capitale economica Douala. Una situazione di disordine e tensione che aggrava la situazione già tesa del Paese da mesi al centro di una crisi politica legata proprio alla figura del presidente Biya e alla sua sostanziale inamovibilità. La coalizione di governo che lo ha sostenuto sino a qui, infatti, di recente si è sgretolata e non è un caso che a sfidarlo per la Presidenza sia stato proprio Tchiroma Bakary, un tempo uno dei suoi più fedeli alleati. Non è chiaro cosa abbia portato alla rottura tra i due, ma è verosimile che abbia influito la decisione del Presidente di ricandidarsi anche a fronte della sua età avanzatissima e della sua palese incapacità di governare il Paese e di gestirne le crisi. In particolare, le crisi che Biya non è riuscito a risolvere in questi anni sono state due. La prima riguarda la guerra civile che insanguina il nord del Paese da ormai otto anni, a seguito della rivolta secessionista degli ‘anglofoni’, ossia del gruppo etnico che non riconosce l’autorità del governo e delle sue istituzioni francofone. Il conflitto, di cui non si vede soluzione, ha portato, secondo Human Rights Watch, alla morte di circa 10.000 persone, allo sfollamento di quasi un milione, oltre che, e non è un dettaglio da poco, alla sostanziale fine dell’istruzione nella zona, dal momento che i principali obiettivi dei miliziani ribelli sono state, sino a qui, le scuole. La seconda crisi cui Biya non ha saputo porre rimedio è stata quella alimentare, data dal sommarsi di inflazione e cambiamento climatico . Secondo il think tank africano NKafu Policies il sommarsi di questi due elementi avrebbe “lasciato 3 milioni in condizione di insicurezza alimentare e nutrizionale moderata e grave, con un aumento del 5% rispetto allo stesso periodo del 2022”. A tutto questo, poi, si aggiunge l’estrema impopolarità del presidente-autocrate. Una figura dissonante e inadeguata a rappresentare un paese la cui popolazione ha un’età media inferiore a 18 anni. Inoltre, nel corso di quattro decenni, la sua presidenza-regno ha svuotato di senso le istituzioni democratiche, trasformandole in strumenti per la prosecuzione del suo potere. Un sistema che anche la Chiesa Cattolica, di recente, ha criticato incoraggiando le persone ad andare a votare e a scegliere un cambiamento democratico. Non è chiaro se nei prossimi giorni le proteste si placheranno o se saranno germe di una rivolta più articolata e destabilizzante. Una circostanza questa che, come spesso accade con i Paesi dell’Africa Centrale, potrebbe avere importanti ripercussioni su tutta la regione. “Una grave instabilità politica destabilizzerebbe sia l'Africa occidentale che quella centrale - scrive Atlantic Council- e fornirebbe ossigeno ai gruppi armati nella crisi anglofona, così come nel bacino del Ciad e nel poroso confine orientale con la Repubblica Centrafricana. Reti criminali opportunistiche potrebbero sfruttare qualsiasi vuoto di potere in Camerun e nelle zone limitrofe, compresa la vicina Nigeria sudorientale”.

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Luciana Grosso