Sharm El-Sheikh, presenti e assenti: equilibrismi al summit per Gaza

Pochi giorni fa il mondo ha festeggiato il fatto che a Sharm el Sheikh si fosse raggiunto un accordo per una tregua a Gaza, per la restituzione degli ostaggi, e potenzialmente, per la fine della guerra. Oggi lo stesso mondo si chiede se quell’accordo sarà sufficiente. Se il fatto di aver incassato i due punti più importanti dei venti totali sia una base sufficiente per arrivare a una stretta anche sugli altri 18, quelli dai quali, a conti fatti, dipende la possibilità di trasformare questa tregua in fine delle ostilità, e la guerra in pace. Così, il nuovo vertice, che si tiene di nuovo a Sharm el Sheikh, ha per compito quello di tracciare un perimetro di garanzie internazionali rispetto alla possibilità di dare concretezza e solidità alla fragile tregua di queste ore. Ma a quel vertice, cui prendono parte 20 capi di governo da tutto il mondo, non partecipano né i rappresentanti di Israele, né quelli di Hamas. Questo perché, come ha rivelato una fonte americana a Times of Israel “l'obiettivo dell'evento è consolidare il sostegno dei garanti dell'accordo, non delle parti". Così, a discutere del destino della pace a Gaza e tra Israele e le milizie di Hamas sono soprattutto i grandi artefici dell’accordo: USA e Paesi Arabi. Il primo che ha fatto pressione su Israele, i secondi che hanno fatto pressione su Hamas, e che, come spiega Foregn Affairs, “desiderano disperatamente la fine di una guerra che, nella migliore delle ipotesi, complica i loro piani di sviluppo economico e, nella peggiore, minaccia i loro regimi. I combattimenti stanno alimentando la rabbia tra i loro cittadini, che può essere mobilitata in modi imprevedibili e potenzialmente pericolosi”. Nel gruppo dei Paesi Arabi non siede, però, l’Iran. Il che per il Paese che negli anni ha sostenuto con maggiore forza Hamas e che più di tutti è stato indirettamente coinvolto nella guerra di questi due anni, è una notizia non da poco. In realtà, a quel che si sa, Teheran era stata invitata dagli Stati Uniti a prendere parte al vertice, un invito che denuncia l’ambizione americana di stabilizzare l’intera regione. Ma l’Iran ha rifiutato dicendo, tramite il suo ministro degli esteri Abbas Araqchi, di ”favorire l'impegno diplomatico", ma di non volersi “impegnare con le controparti che hanno attaccato il popolo iraniano e continuano a minacciarci e a sanzionarci". Quindi Paesi Arabi sì, ma Iran no. E - sorprendentemente - non per un diktat americano. Scorrendo l’elenco dei presenti si trova, ovviamente, il nome di Donald Trump che, poche ore fa, ha riscosso alla Knesset quello che forse è stato il suo primo vero successo da quando è iniziata la sua avventura politica, nel 2015. Poi, al suo fianco ci sarà al-Sisi, il leader egiziano che non solo è il padrone di casa, ma gioca anche un ruolo enorme nella soluzione dell’intera faccenda. In primo luogo perché l’Egitto è il Paese con il quale Gaza condivide il valico di Rafah, dal quale passa gran parte degli aiuti umanitari e dal quale, per anni, sono probabilmente passate le armi dirette agli arsenali di Hamas. In secondo luogo perché, per ragioni geografiche, è il Paese su cui grava gran parte del peso delle crisi umanitarie nella Striscia. Oltre a loro c'è l’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani. La sua figura è stata forse quella più centrale nel percorso che ha portato a questa trattativa: Al Thani, infatti, è sia amico di Hamas sia degli USA. Il fatto che lo scorso settembre Israele, senza nemmeno informare gli Stati Uniti, abbia colpito Doha, ha portato ad un punto di rottura. “Trump- scrive Foreign Policy - era furioso quando Israele ha attaccato il Qatar, uno stretto partner degli Stati Uniti e un paese che ha attivamente corteggiato il presidente stesso con regali come un lussuoso jet 747”. L’analisi del giornale mette in luce anche un aspetto ambiguo del posizionamento USA perché “promettendo protezione al Qatar, gli Stati Uniti consentono al paese di fungere da rifugio per i membri di Hamas che altrimenti potrebbero essere sulla lista degli obiettivi di Israele se rimanessero a Gaza”. Al fianco di USA, Egitto e Qatar, c'è anche la Turchia, il cui presidente Tayyip Erdogan è da sempre in pessimi rapporti con Israele, ma è anche leader di un Paese NATO, quindi alleato degli USA. Sullo sfondo, poi ci saranno vari leader europei, come Emmanuel Macron, Giorgia Meloni, Pedro Sanchez, Victor Orban, Friedrich Merz, insieme al presidente del Consiglio UE Antonio Costa. Il loro ruolo nella trattativa non è chiaro, dal momento che l’UE non ha avuto nessun peso nell’accordo. Ma forse aspira ad averlo per quello che riguarda il mantenimento della pace e la successiva ricostruzione. Oppure - ed è un’ipotesi - potrebbero avere una specie di ruolo inedito di ‘garante del garante’ dal momento che - con buona pace degli applausi della Knesset- in pochi si fidano davvero di Donald Trump.

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Luciana Grosso