Hamas e il piano di Trump, un rapido capovolgimento di fronte

Un rapido capovolgimento di fronte. L’ennesimo. I colpi di scena sono pressoché inevitabili nella caotica, fremebonda e mirabolante diplomazia dell'era Trump. Succede tutto in pochi giorni, meno di un mese. Il 9 settembre i jet israeliani scaricano una raffica di missili su un quartiere residenziale di Doha, in Qatar, dove è in corso una riunione di rappresentanti di Hamas. Come ha notato il New York Times, si è tratta di "una sorprendente provocazione da parte di Israele: negoziare bombardando i negoziatori". Il Qatar era ed è, infatti, il principale canale di comunicazione tra Israele e gli Stati Uniti da una parte e Hamas dall'altra. La Casa Bianca ha reagito con irritazione , anche se c'è chi dice che in realtà Trump stesse facendo il doppio gioco: segretamente al fianco di Israele, pubblicamente solidale con il Qatar. Certo è che gli emiri sono alleati di Trump - e della sua famiglia - più ancora che degli Stati Uniti, e l'Amministrazione ha rabbonito Doha accordandole una protezione militare senza precedenti . Le ricostruzioni della stampa americana parlano di un Trump furioso per il raid israeliano. Spalleggiato dall'inviato speciale Steve Witkoff e dal genero Jared Kushner, il Presidente ha costretto Netanyahu a scusarsi con il leader del Qatar, spingendo inoltre il premier israeliano a impegnarsi concretamente per ottenere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Dopo mesi in cui Trump aveva lasciato mano libera a Netanyahu nella guerra contro Hamas, dunque, si è passati a una fase in cui la pressione di Washington si è diretta su Israele. È il primo capovolgimento di fronte. Avanti veloce fino al 29 settembre. "Il sole ha cancellato tutto", cantava Lucio Battisti nell'omonima canzone. Trump è alla Casa Bianca con Netanyahu, il quale accetta pubblicamente un piano in venti punti che ha chiesto e ottenuto di rimaneggiare. A parte il rilascio di numerosi detenuti palestinesi, le concessioni richieste a Israele sono piuttosto vaghe per quanto riguarda i tempi e i modi, mentre la bozza appare decisamente tassante per Hamas: l'organizzazione terroristica deve rilasciare gli ostaggi entro settantadue ore, cedere le armi e rinunciare a qualsiasi velleità di governo della Striscia. Per come viene presentato l'accordo, la scelta per Hamas è tra prendere e lasciare. Trump confida nell'attuale debolezza dell'organizzazione terroristica e nel pressing dei mediatori regionali. "E se Hamas non dovesse accettare", ha concluso Trump quel fatidico lunedì di settembre "Israele potrà finire il lavoro con l'appoggio degli Stati Uniti". La pressione passa dunque da Netanyahu a Hamas. È il secondo capovolgimento di fronte. Nei giorni successivi la pressione sui palestinesi aumenta. Trump dà all'organizzazione terroristica quattro giorni di tempo per accettare la bozza. La Casa Bianca ribadisce la scadenza ventiquattro ore dopo, poi avverte che il Presidente sta per tracciare una linea rossa: l'ultimatum si concretizza in un post su Truth. I toni sono duri, ma in sostanza si tratta di una proroga. Hamas ha tempo fino alle sei di sera di domenica, ora di Washington: quarantotto ore in più di quelle inizialmente previste, un compromesso rispetto alla richiesta di sette giorni aggiuntivi avanzata dal Qatar. Altrimenti? "Altrimenti sarà l'inferno", ha scritto Trump su Truth. Un modo per suggerire a Hamas che la padella sarà sempre meglio della brace, dove la padella è il piano presentato da Trump e la brace l'inferno da lui promesso. E scusate per la metafora un po' terra terra. I due giorni in più non sono necessari. Passano poche ore e Hamas risponde con un comunicato in cui accetta l'accordo messo a punto dalla Casa Bianca ma circonda il suo "sì" di un mucchio di "ma". L'organizzazione terroristica si dice disponibile a consegnare tutti gli ostaggi vivi e i resti di chi ha perso la vita, ma secondo un funzionario citato da Al Jazeera le settantadue ore previste dalla bozza per il rilascio costituirebbero un termine impossibile da rispettare. La stessa fonte afferma che il gruppo intende trattare sul futuro dell'organizzazione e sul suo disarmo, che secondo Hamas non può avvenire prima della fine dell'occupazione israeliana. Se anche il comunicato accetta di trasferire il controllo della Striscia a un ente palestinese tecnocratico, Hamas sostiene che le discussioni sul futuro di Gaza vanno inserite nel quadro più ampio del dibattito sulla Palestina, dibattito di cui la stessa Hamas intende fare parte. Non si tratta di dettagli, anche se Trump li definisce tali. "Hamas è pronta per la pace", sentenzia il presidente sui social. Per questo Presidente l'ottimismo, l'abbiamo detto spesso, è una strategia politica, e in questo caso si tratta anche della smania di aggiungere un ottavo conflitto ai sette che Trump sostiene di aver risolto in altrettanti mesi di mandato. C'è di mezzo un Nobel, santa pace! Michael Froman, Presidente del Council on Foreign Relations, vede tre possibili scenari: nel primo i dettagli di cui parla Trump si rivelano tali, "Hamas accetta di non essere più Hamas" e il piano di Washington viene applicato come previsto; nel secondo Hamas si limita a guadagnare tempo, le trattative si trascinano, la frustrazione della Casa Bianca aumenta e Israele chiede carta bianca per "finire il lavoro"; il terzo scenario è una via di mezzo tra i primi due, con il piano di Trump che viene applicato solo "nelle zone di Gaza già sgomberate dai militanti, con operazioni di soccorso e di ricostruzione avviate sotto la supervisione delle Forze di Sicurezza internazionali. Ma questa strada, pur lodevole, è irta di pericoli". Difficile non augurarsi che una tregua sia veramente all'orizzonte, tanto per il bene dei civili palestinesi quanto per quello degli ostaggi israeliani e dei loro familiari, ma la promessa della pace, in Medio Oriente, è stata fatta spesso e altrettanto spesso è stata tradita. Cos'è che potrebbe fare la differenza tra gli attuali sforzi diplomatici e quelli fatti in passato? Secondo Froman è il pressing insistente degli stati arabi su Hamas. "Israele deve immediatamente fermare i bombardamenti su Gaza", ha scritto Trump su Truth commentando il comunicato di Hamas. La pressione, così, si sposta dai miliziani per tornare su Netanyahu. Un capovolgimento di fronte. Il terzo.

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Federico Leoni