Francia, perché si parla di crisi “italiana”

Quattro primi ministri bruciati in meno di due anni, paralisi prolungata dell’attività parlamentare e un clima di generale sfiducia da parte dei mercati finanziari internazionali. Ecco in estrema sintesi i tratti dello stallo politico-economico francese di questi ultimi mesi: un nodo dalle spire interconnesse che col passare del tempo si aggroviglia rendendo il futuro del Paese incerto più che mai. Molti osservatori la definiscono una crisi di tipo “italiano”. Un riferimento che va preso con cautela, naturalmente, tenendo conto delle dovute differenze e, per fortuna per noi, guardando al nostro passato. Cerchiamo di capire perché. Debito pubblico fuori controllo Il rendimento dei titoli decennali francesi viaggia oggi, ormai stabilmente, sopra il 3,5%, molto vicino ai livelli italiani appunto. A fine agosto, per capirci, era 3,52% contro 3,61%. Parliamo di appena 9 punti base di differenza, e non succedeva da 20 anni. Niente di drammatico, sia chiaro, ma appena un anno fa quello spread spread superava quota 60. Del resto, il debito pubblico francese oggi è superiore al 114% del Pil e continua a crescere anche perché il disavanzo pubblico negli ultimi anni è stato ben superiore alle soglie previste dall’Unione europea: 5,8% nel 2024. Come dire: da tempo al di là delle alpi si vive e si spende al di sopra delle possibilità. Una finanziaria lacrime e sangue Uno scenario molto simile a quello che qui da noi si vide nel 2011, alla fine del governo Berlusconi. Servì, allora, la cura Mario Monti, ricordate? Ecco il problema che spiega la paralisi politica d’Oltralpe: come fu in Italia allora, oggi anche in Francia bisogna tagliare, tagliare, tagliare. Quasi 44 miliardi di euro, come previsto non a caso dalla finanziaria lacrime e sangue preparata dal governo Bayrou. Tradotto: meno soldi da spendere nel Paese, meno tutele del lavoro, trasformazione radicale del modello sociale. Insomma, un suicidio politico, che nessun partito vuole intestarsi. Tanto più in un parlamento diviso in tre blocchi di consistenza grosso modo equivalente in cui si fatica a trovare una maggioranza. Per adesso almeno, visto che secondo i sondaggi il 53% degli elettori pensa che il cordone sanitario steso finora contro il movimento di estrema destra di Marine Le Pen non abbia più ragione di essere. E visto che in caso di elezioni anticipate il Rassemblement National è dato ormai largamente in testa. L’ipotesi inedita del governo tecnico Intanto, anche in Francia in queste settimane si sente parlare della possibilità di un cd governo tecnico, altra specialità italiana, in senso stretto inedita al di là delle Alpi. Gli ultimi sondaggi dicono che il 39% degli elettori sarebbe favorevole a questa soluzione. Che avrebbe il vantaggio, come del resto più di una volta è stato da noi, di far prendere le decisioni dolorose ma necessarie, anzi, oggi inevitabili, a chi, essendo fuori dai giochi di partito, in fin dei conti non ha nulla da perdere sul piano politico. Certo, i tagli sono tagli, e fanno male indipendentemente da chi li faccia. E i francesi, con la loro perenne nostalgia di grandeur e l’istinto a portare in piazza le ragioni, non sono gli italiani. E così il 10 settembre è già giorno di manifestazioni organizzate in 60 città da un movimento di protesta nato in poche settimane sui social media per opporsi alle prospettive di austerità e i cui animatori si dicono estranei a tutti i partiti e a tutti i sindacati. Lo slogan: bloquons tout, blocchiamo tutto.

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Luigi Casillo