Ucraina, cosa cambia per l'Europa dopo la riunione dei Volenterosi

L’invio di truppe europee in Ucraina non è più soltanto un’ipotesi teorica: è diventato parte di un piano, resta da capire se e quando si concretizzerà. Sul come, invece, non vi è incertezza: le truppe dei Paesi europei, qualora dispiegate, non avranno un mandato offensivo ma una missione di peacekeeping, volta a garantire l’attuazione di un eventuale cessate il fuoco o accordo di pace. Questo è quanto emerso dall’ultima riunione della Coalizione dei Volenterosi, che ha formalizzato la propria sfiducia nella capacità – o nella volontà – di Vladimir Putin di rispettare qualsiasi intesa. La decisione, sottoscritta da 26 Paesi, ha provocato l’immediata reazione di Mosca, che ha dichiarato che considererà le truppe straniere sul suolo ucraino come “obiettivo legittimo”. Un avvertimento che sembra confermare i timori della Coalizione: un eventuale cessate il fuoco potrebbe non segnare la fine della guerra, ma solo una pausa utile alla Russia per riorganizzarsi in vista di nuove offensive. In questo contesto di reciproca diffidenza, incombe l’ombra del partner politico che più di ogni altro ha condizionato gli ultimi mesi: gli Stati Uniti. È infatti il loro ruolo – o meglio la loro assenza – a spiegare la nascita della Coalizione dei Volenterosi e l’ipotesi di una pace “sorvegliata” tra Russia e Ucraina. All’inizio del conflitto, l’appoggio a Kiev da parte di UE e Stati Uniti era compatto e determinato. Oggi resta solida solo la componente europea, mentre quella americana è diventata incerta da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca. Il nuovo presidente non ha mai nascosto il desiderio di chiudere la guerra rapidamente, senza soffermarsi troppo su condizioni e conseguenze. È altrettanto noto il suo giudizio favorevole su Putin e la scarsa stima nei confronti di Volodymyr Zelensky. Lo scontro diretto tra i due nello Studio Ovale, la scorsa primavera, ha reso evidente a molte cancellerie europee che Washington avrebbe potuto lavorare a “una pace qualsiasi”, anche a costo di indebolire l’Ucraina e l’Alleanza Atlantica. Da qui la convinzione, maturata in Europa, che gli Stati Uniti non rappresentino più l’architrave della Nato, ma piuttosto un alleato riluttante e distaccato. È in questo quadro che, lo scorso marzo, i Paesi europei hanno deciso di dar vita alla Coalizione dei Volenterosi: un sottoinsieme della Nato, senza gli Stati Uniti, che osservano con crescente freddezza. L’idea alla base della Coalizione è semplice: vigilare sull’attuazione di un eventuale cessate il fuoco. Il presupposto – confermato dalle parole di Putin – è che, prima o poi, si arriverà a un accordo, ma nessuno crede che Mosca rispetterà spontaneamente gli impegni assunti. Per questo sarà necessaria una forza capace di garantire l’integrità territoriale dell’Ucraina e scoraggiare nuove aggressioni. Formalmente la Coalizione appare unita. L’unica riserva significativa è stata espressa dall’Italia, che ha dichiarato di non voler inviare truppe. Tuttavia, dietro l’immagine di coesione, emergono tre contraddizioni che rivelano la fragilità dell’intero progetto. La prima: il fatto stesso che i Paesi europei abbiano sentito il bisogno di creare una Coalizione parallela alla Nato rivela la crisi di fiducia all’interno dell’Alleanza. La seconda: parlare oggi di vigilanza su una pace che non è all’orizzonte equivale ad ammettere che nessuno crede più in una vittoria militare ucraina o in una conclusione del conflitto senza significative concessioni territoriali a Mosca. La terza: il ricorso all’ipotesi di truppe europee è un segnale che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non è più considerato realistico. Tre elementi che, visti nel loro insieme, coincidono con tre obiettivi centrali di Vladimir Putin: indebolire la Nato, ottenere parte del territorio ucraino, impedire l’adesione di Kiev all’Alleanza. Tre su tre.

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Luciana Grosso