Perché la Gen Z negli Usa è contraria al lavoro da remoto

Da un recente sondaggio di Gallup emerge un risultato sorprendente: negli Stati Uniti, i lavoratori più giovani sono quelli che guardano con maggiore diffidenza al lavoro da remoto rispetto ai colleghi più anziani. La gen Z – i nati dal 1997 in poi – è infatti la generazione meno propensa a preferire il lavoro completamente da remoto: solo il 23% lo considera l’opzione ideale, contro il 35% di tutte le generazioni più anziane. La modalità preferita dai più giovani – ma anche dalle altre fasce d’età, seppur con percentuali inferiori – è invece quella ibrida, ovvero la possibilità di alternare giorni da remoto e giorni in sede: ben il 71% la indica come scelta preferita, contro il 60% dei millennial , il 56% della gen X e il 54% dei baby boomer . Il lavoro esclusivamente in presenza resta l’opzione meno amata da tutti gli statunitensi, con percentuali che oscillano dal 4% dei millennial al 10% dei baby boomer. Una quota non trascurabile di giovani lavoratori ritiene che il lavoro da remoto sia negativo non solo per sé, ma vorrebbe che anche i colleghi fossero più presenti in sede. Tra i gen Zers che oggi lavorano in modalità ibrida, quasi un quarto preferirebbe che gli altri frequentassero più spesso il posto di lavoro – la stessa percentuale di quanti, al contrario, vorrebbero più lavoro a distanza. Il dato è in netto contrasto con quello registrato tra i millennial, dei quali un terzo desidera che i colleghi lavorassero più spesso da casa, mentre solo il 13% auspica una maggiore presenza in sede. Perché questo divario Parte di queste differenze sono dovute al diverso livello di produttività percepita. Il 37% dei lavoratori più giovani ritiene di lavorare meglio da casa, una quota vicina a quanti dichiarano di essere più produttivi in sede e a chi ritiene che il luogo non incida in modo significativo . Per i millennial, invece, il quadro è ben diverso: circa la metà dichiara di rendere al massimo da casa o fuori sede, mentre solo il 19% si considera più produttivo in presenza. Secondo Gallup, un altro fattore decisivo è la genitorialità: avere figli piccoli rende il lavoro da casa particolarmente vantaggioso, in quanto consente una gestione più flessibile degli orari e facilita l’equilibrio tra esigenze familiari e lavorative. Sono pochi i gen Zers con figli piccoli, ma tra loro e i giovani millennial che sono genitori, la preferenza per il full-remote sale al 39%, contro il 29% dei non-genitori nella stessa fascia d’età. Per i millennial più “anziani” questa differenza scompare: la quota pro-remoto è identica tra genitori e non-genitori . Ma perché molti gen Zers vorrebbero che anche i propri colleghi lavorassero meno da remoto? Secondo Gallup, i motivi sono due. Il primo è la solitudine: la gen Z è la generazione che segnala i livelli più bassi di benessere sul lavoro e i più alti di isolamento, quasi il doppio rispetto alla gen X e quasi il triplo rispetto ai baby boomer. Il secondo riguarda la gestione del lavoro ibrido: il 66% dei gen Zers che lavora in questa modalità ha l’obbligo di essere in ufficio un certo numero di giorni alla settimana, ma può scegliere quali; di conseguenza, in molti spesso arrivano in sede quando altri non ci sono, perdendo così i momenti di interazione che renderebbero significativa la presenza fisica.

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Perché la Gen Z negli Usa è contraria al lavoro da remoto

Gianluca De Feo