Azerbaijan-Armenia, l'attivista azero: “Una pace senza diritti”

“Non chiamatelo trattato di pace”. Emin Huseynov lo ripete più volte mentre ripercorre la giornata in cui ha assistito, a Washington D.C., alla firma dell’intesa tra Azerbaijan e Armenia, mediata dagli Stati Uniti di Donald Trump. Attivista azero per i diritti umani esiliato in Svizzera per il suo lavoro di critica contro il regime autoritario di Baku, non nasconde una nota di scetticismo nel commentare la stretta di mano tra il presidente azero Ilham Aliyev e il premier armeno Nikol Pashinyan alla Casa Bianca. "Un buon punto di partenza" “Si tratta di una dichiarazione d’intenti, un memorandum più che un vero accordo di pace, che conviene a tutte le parti coinvolte per mostrarsi dialoganti” spiega a SkyTG24 l’attivista. “Ammetto però che rimane un buon punto di partenza”. Una formalità, ma comunque un passo storico, celebrato con enfasi dalle cancellerie occidentali, che sembra mettere un punto a un conflitto iniziato nel 1988. Il documento, non ancora pubblicato integralmente, pone fine a una disputa territoriale ereditata dallo scioglimento dell’Unione Sovietica, che ha attraversato due guerre ed è culminata nel 2023 con l’attacco militare azero della regione separatista del Nagorno-Karabakh e la fuga forzata di oltre 100 mila persone di etnia armena. “Aliyev è un uomo molto pragmatico,” spiega ancora Huseynov. “Sa leggere le opportunità e sfruttare il contesto geopolitico. Con la Russia isolata e l’Europa in crisi energetica, si è riposizionato come partner indispensabile. Questa firma gli dà legittimità sul palcoscenico internazionale, mentre in patria il regime resta intatto.” E questa volta, crede l’attivista, la pace potrebbe essere duratura, perché il rischio di ritorsioni economiche da parte dell’Occidente è troppo alto. Le risoluzioni contro l'Azerbaijan Grande esportatore di gas naturale verso l’Europa , l’Azerbaijan è stato oggetto di numerose risoluzioni del Parlamento europeo che ne denunciano la repressione e violazione dei diritti umani, senza però delle vere e proprie sanzioni. Da parte statunitense, gli accordi firmati a Washington prevedono, tra le altre cose, la revoca del divieto di aiuti diretti verso Baku rimasta in vigore finora ai sensi della sezione 907 del Freedom Support Act . Sempre meno ostacoli ai rapporti tra Azerbaijan e Occidente, insomma, in cambio del progressivo allontanamento da Mosca. Il nodo dei diritti umani “Baku fa il doppio gioco”, avverte Huseynov. “Sta dichiarando di non aver più bisogno della Russia senza rompere del tutto con Vladimir Putin e senza dover dare conto della situazione interna”. Gli accordi firmati a Washington sono stati infatti puramente di stampo economico, senza nessuna menzione di diritti umani o della situazione in cui vertono i cittadini azeri. “L’Azerbaijan è un Paese ricco grazie alle sue risorse, ma non è un Paese libero. Ci sono almeno 30 giornalisti in carcere e decine di prigionieri politici”. La stretta di mano tra i due Paesi però, spera l’attivista, potrebbe aprire a nuove possibilità di dialogo su questo fronte: “Senza rapporti economici noi attivisti non abbiamo modo di dialogare con la politica. Almeno in questo modo, con questa vittoria davvero facile per Trump e in gran parte di facciata, riusciremo però a portare avanti la nostra battaglia per i diritti umani con più margine di movimento”. Cosa prevede l'intesa L’intesa raggiunta con la mediazione americana prevede la creazione di un corridoio di circa 40 chilometri in territorio armeno che collegherà l’Azerbaigian alla sua exclave di Nakhchivan e quindi alla Turchia, senza passare per Iran o Russia. Un corridoio che ospiterà diverse infrastrutture legate sia all’energia che allo sviluppo tecnologico di entrambi i Paesi. Per Huseynov, il cosiddetto “TRIPP”, la “Trump Route for International Peace and Prosperity”, come potrebbe venir chiamato il corridoio, rappresenta un’arma a doppio taglio. “È un’infrastruttura strategica che rafforza il potere economico di Aliyev, ma può anche aprire spiragli. La presenza di aziende occidentali può teoricamente creare pressioni per maggiore trasparenza e responsabilità”. Sulle ragioni dell’Armenia di Pashinyan invece, Huseynov non ha dubbi: “La Russia non è intervenuta durante l’ultima crisi militare del Nagorno-Karabakh. Di conseguenza, Erevan si sente tradita e ha tutto l’interesse a scegliere di guardare verso Europa e Stati Uniti in cerca di protezione”. La strategia di Trump A festeggiare più di tutti sembra essere Donald Trump: “Il presidente Usa ha scelto uno dei conflitti più facili da risolvere sulla carta per attestarsi una vittoria a costo zero”. Un risultato quantomeno tangibile dopo mesi di tentativi in scenari più complessi come Ucraina e Gaza. “Ha fatto lo stesso ‘risolvendo’ le tensioni tra Thailandia e Cambogia o tra Pakistan e India. Ma non le ha risolte davvero. Sembra che ci tenga molto a quel premio Nobel…”. In questo contesto, da considerare è anche la reazione di un altro attore regionale: l’Iran, che con Armenia e Azerbaijan condivide parte del confine. Teheran osserva infatti con sospetto l’intesa raggiunta e ha già condannato ogni “interferenza esterna” negli affari transcaucasici. “Il nuovo corridoio permetterà di evitare il passaggio dall’Iran per il trasporto energetico e questo naturalmente preoccupa la Repubblica Islamica”, prosegue Huseynov. “Ma non solo, costruire infrastrutture tecnologiche nella zona significa un potenziale controllo da parte statunitense dello spazio aereo iraniano. Al momento però, l’Iran non ha forze per reagire concretamente e l’unica ritorsione nel breve termine potrebbe riguardare il Mar Caspio, con provocazioni e ammonimenti, ma capacità limitate di azione”.

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Lucrezia Goldin