La Croazia di Thompson, il cantante di estrema destra che fa sold out

Fino a pochi anni fa era tollerato e i testi delle sue canzoni alimentavano i dibattiti fuori e dentro le aule dei tribunali croati, oggi tra i suoi più strenui difensori c’è il Primo ministro Andrej Plenković. Stiamo parlando di Marko Perković, meglio noto come Thompson, il nome del mitra che puntava negli anni Novanta contro i serbi in qualità di volontario dell’esercito croato durante le guerre jugoslave. Il cantante e leader dell’omonima band di rock folk, popolarissima in patria, ha conquistato le prime pagine internazionali all’indomani di quello che è stato definito il più grande concerto della storia croata e uno dei più grandi nella storia d’Europa. Sabato 5 luglio ha battuto il record mondiale di spettatori paganti di Vasco , portando all’Ippodromo di Zagabria mezzo milione di persone. Sull’onda del successo straordinario dell’evento, ha convocato un’altra data il 4 agosto, alla vigilia di quello che in Croazia viene celebrato come il Giorno della Vittoria contro i serbi, nonché Giorno dei Veterani. Con rallentamenti significativi del traffico e infinite colonne d’auto alle porte della città, 150mila persone si sono precipitate a Sinj, in Dalmazia non lontano da Spalato, per un nuovo raduno al grido di “Za dom spremni!”, il saluto degli ustascia, movimento fascista e collaborazionista che resse lo Stato indipendente di Croazia tra 1941 e 1945, sotto il controllo congiunto italo-tedesco. Equiparato al Sieg Heil, “Pronti per la patria!” - questa la traduzione - è un refrain della produzione di Thompson, fin da quando compose le prime canzoni per tenere alto il morale dei soldati: con quelle famigerate tre parole, divenute grido di battaglia dei paramilitari delle Forze di Difesa Croate negli anni Novanta, comincia “‘Bojna Čavoglave’”, uno dei pezzi più controversi del suo repertorio, che ha intonato anche negli ultimi due grandi concerti. La parabola di Thompson Quelli di Thompson più che spettacoli hanno tutte le caratteristiche di raduni politici, dove spiccano tra il pubblico dei segni di riconoscimento ricorrenti: svastiche tatuate, magliette nere e altri simboli che evocano epoche buie. Le canzoni, del resto, oltre ad attingere a un immaginario etno-folk e a un sound rock che non si discosta molto da altre famose band balcaniche, sono disseminate di messaggi, più o meno velati, di glorificazione del passato clerico-fascista del Paese in linea con l’ideologia dell’ex presidente nazionalista Franjo Tuđman, condannato post-mortem come “criminale di guerra", il leader che pose le premesse per una riabilitazione dell’eredità degli anni Quaranta come tratto identitario della nuova Croazia. Ma come si è passati allo sdoganamento totale di questo frontman? Dal 2016 la Croazia è governata da un primo ministro, Andrej Plenković, che di esecutivo in esecutivo ha spostato il Paese sempre più a destra, sebbene nel quadro di una dialettica serrata con Zoran Milanović, il Presidente della Repubblica socialdemocratico in carica dal 2020. Lo scorso 5 luglio il premier ha presenziato alle prove del grande concerto di Thompson, per “accontentare i figli” ha detto, ma quando è esploso il dibattito su scala nazionale e internazionale è stato in prima linea nella difesa del cantante invitando a contestualizzare i brani scritti in quella che fu una fase di mobilitazione totale e di guerra per il Paese e ricordando che i tribunali si sono già espressi in favore di Thompson. Sono rimasti in molti colpiti, dall’altra parte, dalle parole del sindaco progressista della capitale, città tradizionalmente di sinistra, che non solo non ha ostacolato in alcun modo l’evento ma si è dimostrato particolarmente accomodante nei confronti di Thompson. Anche rispetto alla data di Sinji, Plenković ha ribadito di condannare singoli incidenti e che sarebbe scorretto definire estremiste le centinaia di migliaia di croati che amano la sua musica. L’Operazione Tempesta 30 anni dopo Ogni anno Perković promuove una celebrazione informale nel suo paese natale e già nel 2015 aveva radunato 80mila persone a Knin, città simbolo della vittoria croata, in cui la folla urlò “Uccidete il serbo”, ma forte del successo di luglio per il trentennale dell’Operazione Tempesta ha organizzato qualcosa di più importante con tanto di esibizione di droni schierati per riprodurre la bandiera croata sulle note del fiore all'occhiello del nuovo album "Oluja". Tradotto: "Tempesta", come l'azione militare con cui tra il 4 e il 7 agosto del 1995 i croati riconquistarono l’autoproclamata Repubblica Serba di Krajina, un’area tra la Dalmazia e la Bosnia persa nel 1991 all’inizio della guerra, quando al momento della dichiarazione di Indipendenza di Zagabria dalla Federazione jugoslava, i serbi di Croazia si opposero. Dopo il naufragio delle trattative del piano messo a punto da Nato, Usa, Ue e Russia, fu avviata l’operazione Oluja che portò al risultato sperato dai croati in pochissimi giorni con dei costi umani ancora non del tutto accertati. Il 5 agosto Thompson fu uno tra i primi soldati ad entrare a Knin, la città simbolo della Dalmazia del nord dove a distanza di vent’anni sarebbe tornato in concerto. Si chiuse così il conflitto iniziato quattro anni prima. Per l’associazione Documenta che proprio quest’anno ha pubblicato un report, dettagliato ma ancora incompleto, le vittime civili accertate furono 1.170, 1.055 di nazionalità serba. A seguito dell’intervento militare sul territorio storicamente caratterizzato da una forte presenza serba - una zona di confine nata nel ‘500 come protezione asburgica per arginare gli ottomani - furono espulse e costrette a lasciare le proprie case circa 200mila persone. Se sui numeri ancora non si è arrivati a una verità definitiva e condivisa e Zagabria continua a parlare solo di alcune centinaia di morti, anche sul fronte giudiziario si è assistito a numerosi colpi di scena. Dopo la condanna dei due generali che guidarono l’operazione, la sentenza del Tribunale penale internazionale è stata ribaltata nel 2012 con delle assoluzioni, ma soprattutto con una sostanziale ritrattazione della verità processuale emersa nel precedente grado di giudizio: per la Camere d’Appello in quei giorni di agosto non ci sarebbe stata “pulizia etnica”. Anche per questo in Croazia, si è saltato un passaggio fondamentale della transizione post bellica: la presa di responsabilità rispetto ai crimini commessi, un processo che in questi giorni diverse associazioni della società civile hanno chiesto a gran voce di avviare, partendo dal libero accesso ai dati e alle informazioni. La Croazia tra politica interna e Ue Un evento come quello della portata del 5 luglio, replicato un mese più tardi, con una chiara retorica neofascista, o meglio neoustascia, ha creato non poco imbarazzo considerando che la Croazia è membro dell’Ue, di relativamente recente adesione. Inoltre, in passato già Paesi come Slovenia e Germania avevano vietato i concerti di Thompson. Con tre giorni di ritardo una portavoce della Commissione europea ha espresso la condanna nei confronti dell’iniziativa e in generale di ”qualsiasi espressione di fascismo che ci ricordi i periodi più bui della storia europea". Il presidente serbo Vučić che ha definito quello di luglio come il più grande raduno fascista dalla Seconda guerra mondiale si è detto abituato all’assenza di prese di posizioni nette da parte della Commissione europea. Il 4 agosto, Vučić, in occasione della commemorazione di Sremski Karlovici in Serbia, non ha mancato di sferrare un duro attacco nei confronti dell’Occidente, accusato di propagandare la demonizzazione dei serbi e di disconoscere le atrocità subite dai suoi, citando “la confisca del territorio in Kosovo e l'espulsione dei serbi dalla Croazia” e chiosando con un veemente “Vergognatevi". Ad oltre trent’anni dall’inizio delle guerre jugoslave, Serbia e Croazia sono due Paesi allo specchio. Se a Belgrado il negazionismo nei confronti dei crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati a serbi e serbi bosniaci, incluso il genocidio di Srebrenica, non è mai stato così forte, come abbiamo raccontato su Skytg24 Insider in occasione dell’anniversario, la Croazia è altrettanto lontana dalla riconciliazione. La parabola di Marko Perković, l’ex volontario che inneggia ad Ante Pavelić, il duce croato, è emblematica di un nuovo corso, in cui ciò che un tempo era considerato indicibile oggi più che mai è tollerato e derubricato come “patriottismo”. Il botta e risposta delle celebrazioni di questo 2025 carico di ricorrenze tonde continua. Vučić ha dato appuntamento al 20 settembre quando ci sarà una grande parata, in occasione della Dana srpskog jedinstva, la Giornata dell'Unità serba, una delle festività post-jugoslave di "costruzione dello Stato".

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Ludovica Passeri