Proteste in Serbia, Djokovic sfiderebbe Vucic alle prossime elezioni?

Potenza, precisione, versatilità e grande controllo mentale. Può fare qualsiasi tipo di gioco, su qualsiasi tipo di superficie, e recuperare anche incontri apparentemente irrecuperabili. Le qualità che hanno fatto di Novak Djokovic uno dei tennisti più forti di sempre oggi si sono trasformate in un capitale politico per un ipotetico duello contro Aleksandar Vucic, l’uomo che da 13 anni regge le sorti della Serbia e che da novembre è il bersaglio di un grande movimento anti-corruzione studentesco e cittadino. Un sondaggio dell’istituto Sprint Insight ha acceso il dibattito nei giorni scorsi, delineando uno scenario fino ad oggi solo immaginato. Se fosse sciolto il Parlamento e raccolta la richiesta di elezioni anticipate, formulata dagli studenti leader della protesta, e si andasse oggi alle urne, la coalizione di Vucic otterrebbe il 41% circa dei suffragi, quella delle opposizioni classiche un 10%, mentre la cosiddetta lista degli studenti trionferebbe con oltre il 45% delle preferenze. Una lista, che però, è ancora in costruzione e su cui si specula da mesi, mentre le proteste continuano ininterrotte dal giorno in cui il crollo di una pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad, seconda città del Paese, ha provocato la morte di 16 persone e ha fatto deflagrare il dissenso covato in oltre un decennio di sistema di potere targato Vucic. Alla domanda “chi vorresti tra i candidati del movimento studentesco” gli intervistati hanno risposto mettendo al primo posto il nome di Novak Djokovic a fianco di altri illustri sportivi ed esponenti della società civile. Il super campione ed eroe nazionale è del resto diventato il principale testimonial delle proteste e ha portato fino a Wimbledon il grido di battaglia dei manifestanti, “Pumpaj”, “Spingi”, diventato così virale fuori dai confini serbi. Ma Novak, anzi Nole , sarebbe disposto a fare il grande salto? I trascorsi politci Classe 1987, Djokovic ha più volte detto di voler continuare a giocare fino a quarant’anni o più. Un ritiro vicino, seppur non imminente. Con l’approssimarsi dell’ora X crescono comprensibilmente anche le aspettative sul "dopo" e per misurarle basta fare un rapido giro nella sezione commenti dei suoi post social, in cui c’è chi scommette che non solo farà il grande salto ma che sia destinato a occupare Novi Dvor, il palazzo della presidenza della Repubblica a Belgrado che dal 2017 ospita Vucic, già al secondo mandato, il massimo consentito dalla legge. Dal canto suo, Djokovic ha in passato messo a tacere queste voci, definendo la politica “un sistema sporco”, regno di interessi di parte, in cui sguazzano multinazionali. Nel 2022, in un’intervista a La Stampa, parlò di un generico desiderio di sostenere il suo Paese anche fuori dal campo. Spazio alle interpretazioni. Pur definendosi apartitico, Novak è stato tutto tranne che un campione apolitico che ha, al contrario, utilizzato spesso il campo per veicolare messaggi sui temi più caldi dell’attualità. Tralasciando le sue posizioni no-vax ai tempi della pandemia globale, due anni fa scrisse su una telecamera "Il Kosovo è il cuore della Serbia" in un momento di altissima tensione nel piccolo Stato dichiaratosi indipendente da Belgrado nel 2008, in cui convive una larga maggioranza albanese con una minoranza di serbi che denuncia di essere oppressa,. Dagli slogan nazionalisti, che fanno parte del background familiare - il padre di Djokovic è originario del Kosovo - fino a prese di posizione di diverso orientamento, come quelle contro i progetti di estrazione del litio nella valle di Jadar, nel Nord-Ovest, avanzati dalla multinazionale anglo-australiana Rio Tinto. Nel 2022 bastò un tweet in cui il tennista denunciava i gravi costi ambientali e sanitari dell’operazione per sospendere i piani del presidente che revocò prontamente i permessi di escavazione concessi - il dossier resta, però, aperto con altri attori in gioco. Non stupisce dunque che, dopo un mese e mezzo di silenzio, il 18 dicembre Djokovic abbia pubblicato sui suoi social il primo endorsement agli studenti. La connessione tra movimento anti-litio e quello attuale, sorto dopo i fatti di Novi Sad, è del resto profonda. Di torneo in torneo il tennista ha alzato l’asticella con dichiarazioni sempre più anti-sistema, indossando persino una felpa con su scritto “Gli studenti sono i campioni”. Da eroe nazionale a nemico pubblico? Djokovic, a differenza del connazionale regista Kusturica, altro serbo di fama globale, ha manifestato il suo sostegno nei confronti degli studenti senza, tuttavia, arrivare a uno scontro totale e diretto con il presidente. Lo stesso Vucic ha detto di aver parlato con il campione, non rivelando tuttavia il contenuto della conversazione, poco prima dell'endorsement ai "blokaderi", così li definisce in modo dispregiativo. Chissà se il presidente avesse messo già in conto anche lo show di Djokovic a Wimbledon con tanto di balletto sulle note di Pump it up, accompagnato dalla figlia sugli spalti che ha fatto un tutorial della coreografia. “Non ho mai ritrattato la mia stima per lo sportivo che ha fatto la Serbia grande nel mondo” ha ribadito il presidente. Ma l’aria è mutata e i media vicini alle autorità hanno cambiato radicalmente atteggiamento nei confronti del tennista che non è più l’eroe intoccabile di una volta. Anche la moglie Jelena non è stata risparmiata dagli attacchi, rea di aver pubblicato dei contenuti giudicati "sovversivi" sui suoi profili social. Quella che un tempo era considerata la Regina di Serbia oggi è un’avversaria politica, o meglio “la vergogna” della Serbia, per citare un titolo che ha fatto discutere. Scriveva così all’indomani del 15 marzo la principale testata pro-Vucic, informer: "Jelena, che paga le tasse a Monaco ha condiviso sul suo account Instagram diverse foto della protesta, con un messaggio inequivocabile: è dalla parte delle persone che, purtroppo, vogliono seminare il caos in Serbia". Djokovic continua, nonostante tutto, a tenere un profilo basso e si gode le vacanze in Croazia, una scelta sicuramente non apprezzata dalle autorità che accusano lo Stato vicino di sponsorizzare le "rivoluzioni colorate" in Serbia, e si prepara, forse, ad essere sempre meno presente a Belgrado. Secondo indiscrezioni il prossimo autunno si trasferirà ad Atene, usufruendo di un programma governativo Golden Visa. Una scelta, tutta da confermare, che ha già dato il là a delle accuse pesanti: c’è chi ha scritto che Djokovic è un “falso patriota che per anni si era presentato come simbolo della Serbia solo per poi fuggire in Grecia”. Occhi puntati sulla prossima uscita pubblica e sul prossimo ATP Belgrado, organizzato dalla famiglia Djokovic, ma soprattutto sul progetto di un museo a lui dedicato che appena un anno fa il presidente Vucic annunciava con orgoglio, su modello di quello a Palma di Maiorca costruito per celebrare Nadal. La scadenza fissata da Vucic per la fine dei lavori era Expo 2027, che si terrà in Serbia. Di aggiornamenti ce ne sono pochi, fatta eccezione per un’intervista rilasciata dall’atleta a gennaio, durante gli Australian Open. In quell’occasione aveva fatto sapere che fossero ancora in corso le discussioni con le autorità e che sia tutto ancora in una fase iniziale. “Vogliamo avere il controllo assoluto sulla sua concezione”, ha affermato perentorio. Il Muzej Djokovic vedrà mai la luce, ma soprattutto sarà un monumento a un grande sportivo o al “salvatore della Patria” che ha messo fine all’era Vucic?

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Ludovica Passeri