Chip Zdarsky: “La continuity è un limite ma anche un’opportunità”

È l’uomo che ha fatto invecchiare Peter Parker, ha scritto lunghe run di Daredevil e Batman e ora è il custode dello scudo di Capitan America. Basterebbe questo a inquadrare Chip Zdarsky per quello che è: uno degli sceneggiatori più importanti del panorama fumettistico americano. In bacheca tiene ben 5 premi Eisner e quattro Harvey. Ospite a Lucca Comics & Games 2025 di Panini Comics, editore che pubblica in Italia i titoli Marvel e DC Comics, si è raccontato a Sky TG24 Insider. Daredevil, Spider-Man, Batman. Ha scritto praticamente tutti I personaggi principali di DC e Marvel con run anche piuttosto lunghe. Qual è la sua preferita? Probabilmente Daredevil, più che altro perché è un fumetto col quale puoi fare più o meno qualsiasi cosa tu voglia, dal momento che non è un membro degli Avengers o dei Fantastici 4, non è Spider-Man o Batman. Puoi scrivere una storia più matura con Daredevil e svilupparla in un periodo di tempo più lungo. E questo dà una grande soddisfazione. Ha qualche rimpianto? Qualcosa che potendo farebbe diversamente? La cosa che mi dispiace di più è non poter lavorare sempre con lo stesso disegnatore per via delle scadenze molto strette delle serie regolari: devi tirar fuori un numero al mese, nel caso di Batman anche di più. Mi dispiace che Marco Checchetto non abbia potuto disegnare tutta la run di Daredevil o che Jorge Jimenez non abbia potuto fare tutta quella di Batman. Abbiamo avuto grandi artisti ad aiutarci, ma penso che avere più artisti su una serie regolare renda meno interessante il lavoro. Di Batman ha anche riscritto le origini con “Batman: Il Cavaliere”, un importante progetto che ha realizzato con Carmine Di Giandomenico. Come è stato lavorarci? Magnifico, perché pur essendo agganciato alla continuity eravamo abbastanza liberi di fare quello che volevamo, dal momento che era ambientata nel passato. DC ci ha concesso molto gentilmente lo spazio per raccontare la storia, dandoci 10 capitoli da 30 pagine l’uno, che sono davvero tante per un fumetto di Batman in cui Batman non si fa mai vedere. Sono molto grato per il lavoro fatto con Carmine perché è così rapido e diligente, la sua arte è così bella, e aver potuto realizzare tutte queste pagine con lo stesso team artistico, riprendendo il discorso di prima, ha reso l’operazione davvero speciale. E in qualche modo mi ha aiutato a scrivere la serie regolare di Batman, quindi è stata importante anche per questo motivo. Alcune delle sue idee sono state riprese dalle serie tv. Come è stato vederle sullo schermo? Molto divertente, esaltante. Forse quella principale è stata l’introduzione di Cole North nella serie “Daredevil: Born Again”. È qualcosa di surreale, incontrare l’attore in carne e ossa che interpreta il personaggio che i ho scritto e Marco Checchetto ha disegnato e gli assomiglia. So che a volte gli autori Marvel si lamentano di non essere pagati abbastanza per l’uso dei loro personaggi, perché non ne detengono i diritti, ma è una cosa che io accetto e vedo semplicemente come un bonus divertente al mio lavoro. Nel fumetto supereroistico americano c’è una cosa nota come continuity, l’obbligo di tenere presente tutta la storia precedente del personaggio quando se ne scrive la serie regolare. Per lei è un limite o un’opportunità? Entrambe le cose: perché sto ereditando i personaggi e le loro storie, quando faccio qualcosa con loro, questo provoca una reazione maggiore nei lettori, significa davvero qualcosa per loro. L’esempio che uso sempre è questa: se scrivessi una storia in cui una donna anziana attraversa la strada e viene investita da un autobus a nessuno importerebbe nulla, ma se quella donna fosse la zia May, importerebbe a tutti. Tutto questo dipende dalla continuity, dal fatto che i lettori abbiano investito le loro emozioni in storie così lunghe e io ne traggo un vantaggio. Scrivere storie con personaggi noti e amati dal pubblico rende il mio lavoro più semplice in molti modi, più che creare nuovi personaggi e lavorare duramente affinché i lettori li conoscano e amino. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Quale? Ovviamente tutto deve avere un senso, devi fare controlli incrociati ed essere sicuro che ciò che scrivi non sia già accaduto prima a quei personaggi, o che funzioni con ciò che gli è accaduto prima. È insidioso. Come lettori siamo abituati a vedere supereroi creati 60, 80 anni fa, che però non invecchiano mai, sono come bloccati in una giovinezza perenne. Lei ha sfidato questa convenzione con “Spider-Man: Storia della mia vita”, facendo crescere e invecchiare Peter Parker. Come è stato lavorare a un progetto del genere? Qualcosa di enorme nella storia del personaggio e nei suoi dettagli. Per prepararmi ho riletto tutto “Amazing Spider-Man”, 800 numeri in una settimana, e mentre leggevo prendevo appunti, per essere sicuro di non perdermi nulla. È stato un progetto enorme in questo senso, ma anche molto liberatorio, perché ho potuto giocare con la continuity e piegarla per raccontare di nuovo la storia di Spider-Man. Ho potuto raccontare una storia completa, che è qualcosa che normalmente non puoi fare con Marvel e DC, perché erediti la storia da chi ti ha preceduto e poi la cedi a chi ti seguirà, mentre qui l’ho iniziata e conclusa io. Non serve altro per capirla, ed è bello. Più recentemente ci ha donato un’altra versione più anziana di un personaggio che non invecchia mai, Capitan America, che ha raccontato vecchio e disilluso in “Avengers – Il crepuscolo”. Come è nata l’idea? L’editor Marvel Tom Brevoort mi ha contattato con l’idea di base. Mi ha detto: “Adorerei vedere una storia degli Avengers ambientata nel futuro. Saresti interessato?”. E io ho risposto: “Assolutamente sì!”. Così ho iniziato a pensarci e ho realizzato che il personaggio principale doveva essere Steve Rogers, perché è l’uomo che ha viaggiato attraverso il tempo, in un certo senso. È stato divertente scriverlo un po’ più cinico e anziano. Diversamente dalla versione più giovane e ingenua, ultimamente è un personaggio tragico, non importa in quale epoca sia. Quindi potergli dare continuità in una storia nel futuro penso abbia funzionato. Come impatta la sua esperienza da disegnatore nel suo rapporto da sceneggiatore con gli altri artisti? Credo che la maggior parte di quelli con cui ho lavorato direbbero che sono veramente fastidioso, che è dura lavorare con me. Però penso che perlopiù gli piace collaborare con me, non chiedo niente di impossibile. Ci sono sceneggiatori che scrivono scene impossibili da disegnare, mentre io riesco a immaginare quello che scrivo, so che ciò che sto chiedendo si può fare. E visto che sono un disegnatore, mi ha sempre preso male pensare di scrivere una scena con tipo 30 macchine o 40 palazzi. L’altra faccia della medaglia, però, è che posso essere molto esigente quando si tratta dei layout e delle note. Alcuni artisti sono allineati con me e non ne hanno bisogno, ad altri sento di doverne dare di più, per essere sicuro che la storia abbia la priorità, che non facciano vignette strane che distraggano dalle emozioni che la scena deve provocare. C’è qualche autore con cui è cresciuto da ragazzo prima e da autore poi che lo ha influenzato più di altri? Sì, sicuramente. Matt Fraction, con cui ho fatto “Sex Criminals” da disegnatore. È stata la prima volta che ho lavorato sulla sceneggiatura di un altro autore, nonmi era mai successo prima, ed è stata come una master class di scrittura fumettistica, perché Matt è il migliore. Ho imparato tanto leggendo le sue sceneggiature e lavorando al suo fianco, mi ha preparato davvero a lavorare con disegnatori diversi. Tra l’altro Matt Fraction ha ereditato Batman proprio da lei. Ne è felice? Ne abbiamo parlato a lungo perché è davvero strano che i due tizi che hanno fatto “Sex Criminals”, un fumetto così pieno di battute sconce, siano finiti entrambi a scrivere Batman. Come è stato invece scrivere di se stesso in “Crossover” di Donny Cates? È stato un po’ come andare in terapia. Davvero divertente e surreale. E Phil Hester è riuscito a ritrarre la mia faccia in modo così perfetto, così triste e stanca. C’è qualche personaggio che non ha ancora scritto in una run e che vorrebbe fare? Non ho veramente una lista. Certo, ce ne sono diversi… Quando la Marvel mi ha chiesto cosa avrei voluto scrivere, ho risposto Devil e Capitan America, ed è successo. Ma generalmente non ho una lista. Quando un editor mi propone un personaggio da scrivere, mi alzo e comincio e pensarci, e se trovo una storia che voglio raccontare accetto, se non la trovo rifiuto. Anni fa la DC Comics mi ha proposto di scrivere Flash, e io adoro Flash, è uno dei miei personaggi preferiti, sono cresciuto con i suoi fumetti. Ci ho pensato su e ho realizzato che non avevo una buona storia su un ragazzo che corre veloce, on una che non fosse già stata scritta, e quella che mi era venuta in mente non era abbastanza buona. E se la storia che devo raccontare non è abbastanza buona, io rifiuto il lavoro perché non ho bisogno di accettarlo. Così ho detto no. Succede spesso che mi propongano un personaggio o una storia e io rifiuti perché non ho niente di interessante da dire.

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Gabriele Lippi