Dazi, accordi e nuove regole del gioco: cosa insegna l’intesa tra Usa e Giappone all'Ue

Dopo il Regno Unito e il Vietnam, anche il Giappone ha concluso un accordo commerciale con gli Stati Uniti per scongiurare un’escalation tariffaria e una possibile crisi dell’interscambio. Come Hanoi e Londra prima, anche Tokyo ha accettato un compromesso: le merci giapponesi in entrata negli Stati Uniti pagheranno un dazio pari al 15%, inferiore al 25% minacciato da Trump dopo la scadenza dell’1 agosto, ma superiore al livello minimo delle tariffe “reciproche” imposte il 2 aprile – pari al 10% – e concordate dal Regno Unito nel proprio accordo con Washington. Cosa hanno deciso Washington e Tokyo Un dazio inferiore a quello del 20% accettato dal Vietnam, ma comunque significativo: rappresenta un vero e proprio “contributo all’ingresso” nel ricco mercato americano, chiesto da Trump come precondizione per ogni nuova intesa commerciale. Stati come il Giappone hanno negoziato al ribasso, partendo dalla minaccia di imposizioni molto più alte. E se da un lato i negoziati con alleati chiave come Tokyo, nota il Financial Times, “indicano che Trump è disposto a mantenere tariffe elevate sui principali partner degli Stati Uniti, mentre intensifica la sua politica commerciale aggressiva”, dall’altro l’intesa voluta dal governo di Shigeru Ishiba – in forte crisi di consenso interno – non rappresenta un cedimento unilaterale. In cambio del dazio al 15%, infatti, il Giappone ottiene una riduzione delle tariffe statunitensi su settori chiave, come l’automotive: i dazi sulle auto giapponesi scenderanno dal 25% al 15%. Una decisione che ha scatenato le critiche dell’industria americana. Matt Blunt, presidente dell’American Automotive Policy Council, che rappresenta Ford, General Motors e Stellantis, ha definito l’accordo “un pessimo affare”, perché finisce per penalizzare i veicoli prodotti in Nord America con componenti statunitensi rispetto a quelli giapponesi. Trump, tuttavia, canta vittoria, convinto che i dazi rafforzeranno l’erario statunitense e che Tokyo manterrà la promessa di investire oltre 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti – in settori strategici come semiconduttori, acciaio, cantieristica navale, aerospazio, energia e intelligenza artificiale. A fare la differenza, sarà l’effettiva ricezione dell’accordo da parte di mercato e imprese. Uno scenario che riguarda anche l’Europa L’intesa Usa-Giappone arriva in un momento decisivo anche per i negoziati tra Washington e Bruxelles. L’Unione Europea, infatti, è impegnata in un difficile confronto con l’amministrazione Trump per evitare l’innalzamento al 30% dei dazi a partire dal prossimo 1° agosto. I segnali sono contrastanti. Da un lato, Deutsche Bank e Citi hanno pubblicato note in cui si dicono ottimiste sulla possibilità che venga raggiunto un accordo commerciale entro quella data. Dall’altro, la strategia negoziale americana si mostra rigida e muscolare. Cosa insegna l’accordo Usa-Giappone all’Unione Europea La partita con il Giappone rivela molto del metodo Trump. La Casa Bianca non sembra intenzionata a rinunciare all’idea di un “dazio minimo” da imporre come contropartita per il deficit commerciale e per il ruolo geopolitico svolto dagli Stati Uniti nel mantenere l’equilibrio globale. Tuttavia, come mostrato dall’intesa con Tokyo, è possibile negoziare spazi di flessibilità, soprattutto su tariffe elevate imposte prima dell’introduzione del dazio reciproco del 2 aprile: dalle auto all’acciaio, alcuni margini di manovra esistono. E potrebbero interessare direttamente anche l’industria europea. Trump, nel frattempo, ha alzato ulteriormente la posta: l’aliquota minima richiesta all’Ue per firmare un’intesa è salita dal 15% al 20%. In un contesto in cui, nota CNBC, “l’introduzione di esenzioni o aliquote più basse per settori chiave è da tempo nella lista dei desideri dell’Unione Europea, e molti analisti si aspettano che Bruxelles possa accettare una tariffa base in cambio di concessioni settoriali”. Il conto alla rovescia per Bruxelles è iniziato Le prossime settimane saranno cruciali. L’Ue dovrà farsi trovare pronta, forte di una strategia negoziale solida e coerente. Proprio nei giorni del confronto nippo-americano, ha cominciato a circolare la bozza del nuovo pacchetto di contromisure europee: 93 miliardi di euro di beni statunitensi potenzialmente soggetti a dazi. Il precedente, da 21 miliardi, è sospeso – ma pronto a tornare operativo. Una pressione non irrilevante su Washington, in un contesto in cui le relazioni transatlantiche sono cambiate per sempre: più competitive, più tattiche, e sempre meno legate ai paradigmi del passato.

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