Il difficile anno di Keir Starmer a Downing Street

Gli occhi rossi, il viso segnato da evidenti borse. E poi una lacrima, e ancora un'altra. L'immagine impietosa di Rachel Reeves singhiozzante, alle spalle di un primo ministro che, incalzato durante il question time, non riesce a dire chiaramente che il Cancelliere dello scacchiere resterà al suo posto, sigilla più di ogni altra un anno di governo laburista. Un anniversario che arriva alla fine di una delle settimane più dure per il governo di Keir Starmer, costretto a una retromarcia dietro l'altra col passare dei mesi, fino ad arrivare all'ultima umiliazione: la riforma del welfare che non sarà quella che avrebbe voluto, a causa di un considerevole numero di insorti all'interno del suo stesso partito. Una rivolta arginata e infine scongiurata, per un soffio, solo annacquando - e di molto - il progetto di legge. Spetterà ora a Reeves rivedere i conti, con un debito pubblico che invece di diminuire aumenterà. I mancati tagli - che poco o niente di sinistra avevano - lasciano un buco fiscale di circa 5 miliardi di sterline e si sommano ai 25 già esistenti. Difficile, in questo contesto, pensare che alla prossima manovra fiscale non verranno annunciate nuove tasse. Un anno fa, con una schiacciante vittoria alle spalle, il leader laburista aveva assicurato un “decennio di rinnovamento nazionale”. Dodici mesi dopo, il suo governo ha raccolto qualche frutto concreto, ma critiche e scetticismo dominano. Una delle promesse più sentite riguardava il Servizio Sanitario Nazionale, l’NHS, provato da anni di sottofinanziamenti e crisi post-pandemia. Il governo ha messo sul tavolo fondi importanti: oltre 22 miliardi di sterline in più, con l’obiettivo di ridurre le lunghissime liste d’attesa e sistemare ospedali in difficoltà. I risultati iniziali non sono mancati: si contano oltre quattro milioni di trattamenti in più, e le liste si sono accorciate. Ma i problemi strutturali restano, e molti medici e pazienti continuano a lamentare tempi inaccettabili e carenza di personale. Il piano per costruire 1,5 milioni di nuove case in cinque anni era stato un altro dei cavalli di battaglia elettorali. Ma nei primi dodici mesi di governo le approvazioni urbanistiche sono state le più basse degli ultimi tredici anni. La burocrazia, le resistenze locali e i ritardi nei progetti frenano ogni ambizione. Sul fronte dei trasporti, invece, il governo ha fatto passi più decisi: ha avviato il processo di rinazionalizzazione delle ferrovie, una scelta popolare che potrebbe però rivelarsi complessa da gestire nei prossimi anni. Sul fronte economico, il cancelliere ha sempre ribadito che l’aspetto più importante riguarda il rigore dei conti, per infondere fiducia negli investitori e stimolare la crescita. Ebbene, la crescita c’è stata, ma solo di uno 0,7% nel primo quadrimestre dell’anno, con rilevanti rischi di stagnazione per il resto del 2025 non ancora sedati. L’inflazione resta persistente, di alcuni punti superiore all’obiettivo del 2%. Anche gli investimenti appaiono ancora insufficienti, ma ciò che preoccupa maggiormente è il debito, che è arrivato ormai a sfiorare il 100% . L'immagine di Starmer in patria è molto più appannata di quella che offre all'estero. Sul piano internazionale ha stabilito una buona relazione con l'erratico Donald Trump, anche se l'accordo commerciale raggiunto non l'ha messo del tutto al riparo dai dazi, e ha migliorato le relazioni con l'Unione europea. Per quanto si sia ancora in una fase di dichiarazione di intenti, le due rive della Manica appaiono più vicine. Soprattutto se si parla in termini di difesa europea. Il Regno Unito resta uno dei più fermi sostenitori dell'Ucraina e una delle voci più critiche nei confronti del Cremlino. In generale, il clima che si respira nel Regno Unito è di forte incertezza. Davanti alle lacrime della cancelliera la Borsa di Londra ha tremato. Lo spread è schizzato come non accadeva dai tempi del mini-Budget del 2022 del primo ministro Liz Truss. In un sondaggio fatto a caldo, il 54 % degli intervistati ha dichiarato di avere più fiducia nel leader populista di Reform Uk, Nigel Farage, che nella cancelliera per quanto riguarda la capacità di generare crescita economica. Un Farage che di questi temi ha gioco facile nel ricordare che, nonostante gli ottimi rapporti con Parigi propagandati da Starmer, sulle coste britanniche sono sbarcati dalla Francia 200 mila migranti negli ultimi 6 mesi. Lo scorso maggio, in un goffo e molto criticato tentativo di arginare l'avanzata di Reform - che spaventa molto più di un esangue partito conservatore – parlando nel contesto di un piano per contrastare l’immigrazione non controllata, il primo ministro’ aveva dichiarato: "Rischiamo di diventare un isola di stranieri", involontariamente ricordando un infame discorso pronunciato dal Conservatore Enoch Powell nel 68. A seguito di forti critiche interne al partito e di fronte al disorientamento di parte dell’elettorato, in un'intervista di fine giugno all’Observer, il premier si è detto profondamente pentito per quelle parole. Ma colpisce la motivazione addotta: né lui né i suoi speechwriter - ha spiegato - erano consapevoli dell’associazione con Powell.

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