Iran, Trump apre alle trattative ma è incognita sul programma nucleare

Il cessate il fuoco tra Israele e Iran è arrivato e, dopo essere intervenuti direttamente nel conflitto scoppiato il 13 giugno 2025, gli Stati Uniti provano a rilanciare l’ipotesi di un negoziato diretto con Teheran. Ma sul negoziato che riprenderà la prossima settimana, come annunciato dal presidente Donald Trump e dall’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff, pendono diverse incognite: si tratterà di una ripresa dei colloqui iniziati ad aprile in Oman sul nucleare o di una forma di confronto diverso? E se di nucleare si parlerà, che potere contrattuale avranno le parti dopo i raid israeliani e, soprattutto, l’attacco americano ai siti di Natanz, Fordow e Isfahan del 22 giugno? Sul primo fronte, la Casa Bianca dà informazioni ambivalenti. Mentre da Teheran il ministro degli Esteri Abbas Araghchi, tra i volti più moderati dell’Iran, alternava aperture diplomatiche e minacce di un irrigidimento della posizione negoziale del suo Paese sul nucleare, da Washington Steve Witkoff nella giornata di mercoledì si è detto fiducioso della possibilità di tornare a parlare con la controparte: “Ora è il momento di sederci con gli iraniani e raggiungere un accordo di pace globale”, ha detto in un’intervista a Fox News, aggiungendo che “i negoziati sono molto promettenti”. Il futuro del negoziato Witkoff avrebbe dovuto guidare la delegazione Usa in Oman il 15 maggio scorso nei colloqui cancellati per l’attacco israeliano. Trump, dal summit Nato de L’Aja, ha confermato i colloqui ma è apparso criptico: "Non credo che torneranno più a interessarsi al nucleare", ha affermato riferendosi all’Iran dopo aver confermato alla stampa l’imminente ripresa del negoziato. Una trattativa Usa-Iran avrebbe chiaramente connotati molto diversi qualora l’oggetto delle discussioni fosse o meno il programma nucleare di Teheran. E questo, per venire al secondo punto, porta alla necessità di un’analisi approfondita sullo stato del programma nucleare iraniano dopo gli attacchi israeliani e statunitensi. Trump ha detto nella giornata di domenica che il programma nucleare era stato “obliterato” in via definitiva e sostanzialmente azzerato dalla distruzione dei siti, in particolare Fordow, ad opera dei B-2 Spirit e delle bombe anti-bunker statunitensi. Al contempo, il direttore della Cia John Ratcliffe si è detto certo che gli Usa hanno inflitto “danni gravissimi” alle ambizioni atomiche di Teheran. Altre valutazioni sono risultate più prudenti: l’agenzia informativa del Pentagono, la Defense Intelligence Agency , ha parlato di un rinvio di “pochi mesi” di un eventuale programma atomico di Teheran. Una lettura concordante con quanto sottolineato da alcuni funzionari israeliani sentiti dal New York Times, per i quali “le prime valutazioni dei danni effettuate hanno sollevato dubbi sull'efficacia degli attacchi”. Quel che sembra essere certo è che gli stock di uranio arricchito tra il 20 e il 60% da parte dell’Iran non sembrano esser stati seriamente danneggiati. Il nodo nucleare Qualora l’Iran avesse mantenuto attivo, seppur danneggiato, l’impianto della sua infrastruttura di ricerca nucleare avrebbe elementi per una diplomazia più attiva verso gli Usa potendo rivendicare la possibilità di mantenere livelli di arricchimento tali da consentire il nucleare civile, come successo nel 2015 con l’accordo Jcpoa siglato con Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania. Le richieste di Teheran in materia devono essere ancora presentate, ma è comprensibile che l’Iran proverà a rivendicare come un suo successo nella guerra la possibilità di strappare dai suoi avversari la possibilità di continuare un programma nucleare messo nel mirino nelle scorse settimane. La grande sfida sarà quella di ricostruire una vera fiducia negoziale e un confronto a tutto campo dopo che un percorso di due mesi di trattative, definite “molto serie” dallo stesso Trump a maggio, è stato interrotto bruscamente il 13 giugno scorso da Israele. La guerra, ha detto Trump, “potrebbe ricominciare, magari anche presto” e la sensazione che il cessate il fuoco sia un armistizio, più che un momento di vera pace, emerge. Bisognerà capire se l’Iran sarà disposto a ristabilire la cooperazione piena con l’Aiea e a confrontarsi con essa e se gli Usa accetteranno l’ipotesi di un prosieguo del programma nucleare civile di Teheran, con buona pace di Israele, per capire se una trattativa potrà tornare ad esserci. Dopo la spinta data dalla guerra, che ha creato un clima tesissimo tra le parti in causa, non è detto che questa fiducia emerga e che il cessate il fuoco possa consolidarsi senza una solida volontà diplomatica.

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