L’accordo per le Chagos e il dilemma Diego Garcia

Le Isole Chagos passano definitivamente dalla sovranità britannica a quella di Mauritius. Nella giornata di ieri, nel contesto di una cerimonia online, il primo ministro britannico Keir Starmer ha ufficialmente trasferito la sovranità del piccolo arcipelago dell’Oceano Indiano sotto il controllo dello Stato insulare vicino alle coste orientali dell’Africa, chiudendo un contenzioso che si protraeva da sei decenni. Chagos, storia di un contenzioso Nel 1965, tre anni prima di garantire la piena indipendenza a Mauritius, Londra creò un'autorità a parte per amministrare le Isole Chagos, il Territorio Britannico dell'Oceano Indiano , con l'obiettivo di preservare la sua sovranità sui sei atolli dalla superficie complessiva di 60 chilometri quadrati includenti, però, un'isola dal valore strategico: Diego Garcia, fondamentale base aerea ampiamente sfruttata dagli Stati Uniti ai tempi della guerra in Vietnam e in seguito divenuta un hub cruciale per le operazioni militari mediorientali della United States Air Force. Londra ha affittato Diego Garcia a Washington per quasi sessant’anni e per favorire l’installazione della base le autorità britanniche hanno sfollato e reinsediato a Mauritius o alle Seychelles oltre un migliaio di chagossiani di origine africana, indiana e malese. La sfida per le Chagos Dall’indipendenza Mauritius ha reclamato la sovranità sul territorio, e nel 2019 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato ad ampia maggioranza una risoluzione che dava ragione a Port Louis definendo l’arcipelago “l’ultima colonia britannica in Africa”. Tre anni fa sono iniziati i colloqui condotti da Ramgoolam col governo conservatore di Rishi Sunak, a cui nel luglio 2024 è subentrato Starmer. Il governo del Partito Laburista ha concluso l’intesa che formalizza la prima cessione di un territorio da parte di Londra dal ritorno di Hong Kong alla Cina ma al contempo garantisce al Regno Unito il controllo della base militare strategica di Diego Garcia per 99 anni, a fronte di un pagamento annuale di 101 milioni di sterline e l’istituzione di un “fondo Chagos” per lo sviluppo di Mauritius. Il senso di Diego Garcia per gli Usa La trattativa e la prospettiva di una cessione delle Chagos hanno suscitato reazioni contrastanti, in particolare per le implicazioni geopolitiche legate alla base di Diego Garcia, cruciale per le operazioni militari anglo-americane nell’Indo-Pacifico e in Medio Oriente. La base, utilizzata a lungo per le missioni dell’Usaf e della Royal Air Force in Afghanistan e Iraq, consente di proiettare potenza militare e controllare rotte marittime strategiche tra Europa e Asia. Washington ne ha ampiamente fatto uso nell’ultimo decennio per i raid contro lo Stato Islamico in Siria e Iraq o, più di recente, per gli attacchi in Yemen, per i quali invece la Raf ha preferito operare dalle basi situate a Cipro. Gli Stati Uniti hanno osservato da vicino il negoziato, temendo che una cessione delle Chagos non garantita da una continuità operativa per Diego Garcia finisse per rendere possibile un inserimento del loro principale rivale strategico, la Cina, nella regione. Minaccia cinese? Mauritius ha firmato nel 2019 un accordo di libero scambio con Pechino e mantiene rapporti eccellenti con la Repubblica Popolare, tanto che uno dei rischi maggiormente sottolineati come insiti nell’accordo è stato quello di un possibile inserimento militare, oltre che commerciale, della Cina a due passi dalle Chagos non contrastabile da Usa e Regno Unito. Il commodoro Adam Peters, ex comandante della Royal Navy a Diego Garcia dal 2001 al 2003, ha scritto sul Telegraph che "se le isole fossero sotto il controllo di Mauritius, la Cina potrebbe tranquillamente iniziare a riqualificarle e installare ogni sorta di equipaggiamento di spionaggio che potrebbe compromettere la sicurezza di Diego Garcia", sottolineando inoltre che la Cina è capace di installare anche batterie antiaeree avanzate su atolli o aree insulari di piccola dimensione, fatto già evidente nelle isole artificiali del Mar Cinese Meridionale, e che tale scenario potrebbe ripetersi nelle Chagos. Londra mira a sanare i timori Usa Prima della vittoria elettorale dell’attuale presidente Donald Trump, negli Usa il senatore della Florida Marco Rubio era tra i maggiori critici del negoziato britannico con le Mauritius, in sintonia con l’ex primo ministro Boris Johnson nel definire la trattativa una conseguenza di una “guerra giuridica” orchestrata dalla Cina contro Londra. A gennaio, dopo l’insediamento a Segretario di Stato Rubio ha raccomandato prudenza sulle Chagos al suo omologo britannico David Lammy, facendo suoi i dubbi del Partito Conservatore tornato all’opposizione sul rischio di ingerenze cinesi. Alla prova dei fatti, però, Washington per bocca dello stesso Segretario di Stato ha mostrato apprezzamento per l’accordo trovato e per l’impegno di Starmer a garantire a Diego Garcia “una forte protezione, anche da influenze maligne, che consentirà alla base di continuare a operare per tutto il prossimo secolo". Pragmaticamente, Washington ritiene strategico il risultato della conservazione dell’operatività di Diego Garcia, mentre per Londra l’attenzione data alla continuità del controllo di fatto su una base sfruttata maggiormente dagli Usa si inserisce nel quadro di una dinamica che vede il governo di Starmer attento a preservare ad ogni costo il rapporto con gli States nel periodo turbolento della seconda amministrazione Trump. Dopo l’appoggio agli Usa nei raid contro lo Yemen volti a colpire gli Houthi, dopo la ricerca di una linea transatlantica comune sull’Ucraina e dopo la firma dell’accordo commerciale bilaterale a inizio maggio Starmer con l’affare-Chagos e con la preservazione dell’operatività di Diego Garcia mira a mandare un altro messaggio di buona volontà all’alleato di oltre Atlantico. Il risultato, dunque, è un accordo che trasferisce la sovranità nominale delle isole contese a Mauritius ma per ora non cambia la situazione di fatto che vede una profonda militarizzazione anglo-americana di Diego Garcia. L’odierna competizione geopolitica tra potenze e la centralizzazione delle periferie che rende caldo ogni scenario locale, come dimostrato dal timore di ingerenze cinesi, hanno indubbiamente remato a favore della preservazione dello status quo per l’importante base, cruciale per la proiezione militare tra Oceano Indiano e Medio Oriente.

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