Quanti ordini esecutivi ha firmato Trump (e cosa stabiliscono)?

143 in 100 giorni da presidente: più di uno al giorno. È questo il numero di ordini esecutivi firmati da Donald Trump nei suoi primi mesi di governo, ovvero il più alto rispetto a ogni presidente in tempi moderni. Una cifra già a inizio maggio superiore alla somma degli ordini esecutivi promulgati da Obama e Bush, complessivamente, durante i loro secondi mandati. Gli obiettivi dell’azione esecutiva di Trump sono tre: espandere i confini dell’autorità presidenziale, mettere in atto in maniera rapida e travolgente la sua agenda politica e rovesciare quella dei suoi predecessori. Per quanto riguarda quest’ultimo, Trump ha revocato 97 ordini esecutivi di Joe Biden, ma si è spinto anche oltre, fino ad abrogare due azioni esecutive promulgate da John F. Kennedy e Lyndon Johnson – presidenti rispettivamente tra il 1961 e il 1963 e tra il 1963 e il 1969. Per poter comprendere appieno le motivazioni dietro alla miriade di ordini esecutivi di Donald Trump - e ciò che distingue la sua azione da quella dei suoi predecessori - è necessario analizzare il modo in cui le misure sono state promulgate e il loro contenuto. Un elemento chiave di un ordine esecutivo è che non può sovrastare la legislazione esistente e la Costituzione. Ma, mentre i presidenti americani del passato sono stati generalmente più attenti ai limiti legali, per evitare contenziosi e per non erodere la fiducia del pubblico con un impiego massiccio di ordini esecutivi, non è questo il caso di Trump: un comportamento che secondo diversi analisti mostra un chiaro intento autoritario. Per quanto riguarda il contenuto politico, un’analisi di Reuters mostra che il 26% degli ordini esecutivi firmati durante l’attuale mandato è legato alla politica estera: per Biden erano il 17% e nel secondo mandato di Obama il 21%. Mentre i due predecessori di Trump imponevano sanzioni contro gli avversari degli Stati Uniti, l’attuale presidente non fa alcuna differenza tra nemici e alleati storici, applicando anche a questi ultimi i dazi commerciali. Tuttavia, la differenza forse più cruciale rispetto al passato sta nell’azione esecutiva rivolta verso l’interno: la creazione del Dipartimento di Efficienza Governativa , guidato da Elon Musk e nato con l’obiettivo di ridurre la spesa del governo americano, rappresenta un unicum dal punto di vista del suo potere di azione. Il DOGE, infatti, agisce in maniera molto più indipendente rispetto a ogni organo di questo tipo esistito fino ad ora, tanto da poterlo definire quasi un ministero a sé stante. Alcune differenze, tuttavia, si riscontrano non solo tra Trump e i suoi predecessori, bensì anche tra il primo e il secondo mandato del presidente in carica. La prima è legata ai dazi, in relazione ai quali nella sua seconda amministrazione ha firmato 17 ordini esecutivi mentre nel primo zero, poiché furono imposti solo attraverso proclami presidenziali. Un altro dato sorprendente riguarda le sanzioni, per ora apparse in solo due ordini esecutivi, mentre nei passati tre mandati presidenziali erano in media 21 per mandato. La risposta dei tribunali La massiccia azione esecutiva di Trump ha spesso mostrato contorni di illegalità e in alcuni casi ha colpito direttamente i suoi oppositori politici. La reazione del sistema giudiziario a questi abusi del potere esecutivo e agli ordini ritenuti illegali non è stata indifferente: i tribunali hanno già bloccato molte tra le misure messe in atto dal governo federale e l’amministrazione Trump è attualmente oggetto di 258 cause legali che contestano la sua azione esecutiva. Tra queste, una gran parte riguarda il blocco dei finanziamenti federali , le operazioni del DOGE e la revoca della cittadinanza di nascita . In risposta, la Casa Bianca ha continuato a ripetere che i tribunali minori non hanno il potere di bloccare gli ordini esecutivi del presidente , ma nonostante ciò già nel mese di aprile si è verificata una diminuzione del numero di ordini esecutivi rispetto ai tre mesi precedenti.

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