Albanese dopo Carney: anche in Australia l’effetto-Trump premia i progressisti

Anthony Albanese ha seguito Mark Carney e consegnato al Partito Laburista australiano un’ampia vittoria elettorale alle elezioni di sabato. Canberra come Ottawa, l’Australia come il Canada: primi ministri progressisti giunti in carica alle elezioni hanno rimontato sondaggi negativi facendo leva sull’effetto Donald Trump. Sia Carney che Albanese hanno vinto puntando sulla loro capacità di presentare le proprie politiche come funzionali a far reggere i rispettivi Paesi alle tensioni globali prodotte dall’ascesa del tycoon alla guida del maggior alleato dei due Stati, gli Usa. L’ampia vittoria dei laburisti di Albanese Il Partito Laburista ha sfiorato il 35% e conquistato ben 85 seggi su 150, aggiudicandosi una solida maggioranza alla Camera dei Rappresentanti e ampliando la sua maggioranza contro la coalizione conservatrice guidata dal Partito Liberale, che dai 58 seggi del voto del 2022 è sceso a soli 39, perdendo in diverse roccaforti, tra cui quella del Queensland, in cui anche lo sfidante di Albanese per la guida del governo, Peter Dutton, è stato sconfitto e ha perso il proprio seggio. Albanese è diventato il primo leader dell’Australia dai tempi del liberale John Howard a vincere da capo del governo uscente e il primo laburista a riuscirvi dai tempi di Bob Hawke nel 1990. Fino a poche settimane fa l’esito sembrava destinato a essere completamente diverso. I Liberali hanno guidato i sondaggi da metà 2023 fino alla fine di febbraio del 2025. Le similitudini tra Canada e Australia Così come Pierre Poilievre, leader del Partito Conservatore canadese, anche Dutton è stato a lungo indicato come potenziale nuovo premier del suo Paese salvo poi ritrovarsi non solo sconfitto nelle elezioni generali ma anche escluso dal Parlamento dopo essere stato battuto nel suo collegio. Il minimo comune denominatore è legato al fatto che tanto Albanese quanto Carney si sono presentati come gli “anti-Trump”, incarnando la tradizione politica dei propri Paesi, il loro legame alle priorità geopolitiche dell’Occidente, la difesa del libero commercio e del multilateralismo contro un’agenda americana ritenuta lesiva della compattezza del blocco di riferimento di Australia e Canada. Nota il Financial Times che in Australia “il sostegno ai liberali è crollato nel corso della campagna elettorale”, dato che “il loro programma – che includeva piani per tagliare la spesa pubblica e i posti di lavoro nel settore pubblico e attacchi ai programmi "woke" – non è riuscito a ottenere consensi tra gli elettori” e che “il programma tariffario e la politica estera aggressiva del presidente degli Stati Uniti hanno finito per condizionare l’esito della tornata elettorale. Parlando al Ft James Paterson, senatore e portavoce dei Liberali, ha dichiarato che “il fattore Trump ha avuto un ruolo significativo nella sconfitta del nostro partito”, la cui performance in termini di seggi è stata la peggiore degli ultimi 80 anni. Le sfide del governo Albanese Albanese ha promesso un “governo disciplinato e umile” capace di affrontare con pragmatismo le sfide che l’Australia si trova di fronte, tra cui il Guardian ricorda avranno la priorità diverse istanze progressiste, come gli stimoli all'edilizia abitativa e alla transizione verso le energie rinnovabili, ma anche tematiche-chiave come l’integrazione dell’intelligenza artificiale in un’economia condizionata da diversi problemi demografici e dalla stagnazione della produttività. Sul piano diplomatico, il premier riconfermato non ha seguito il collega Carney, che parlando a caldo dopo la vittoria elettorale ha denunciato il “tradimento” americano, ma ha scelto di confrontarsi proprio con il presidente Usa. Albanese ha avuto una telefonata con il presidente americano nella giornata di domenica e ha definito l’atteggiamento del capo di Stato Usa “molto generoso e amichevole nei miei confronti”, sottolineando che Trump “era pienamente consapevole del risultato e ha espresso il desiderio di continuare a lavorare con me in futuro”. La sponda per il multilateralismo L’Australia intende difendere importanti partnership con gli Usa, dall’accordo Aukus sulla sicurezza marittima nell’Indo-Pacifico esteso al Regno Unito al patto d’intelligence Five Eyes esteso a Canada e Nuova Zelanda, temendo che l’unilateralismo di Trump possa metterle a repentaglio. Inoltre, intende cercare un accordo commerciale dopo essere stata colpita da dazi “reciproci” relativamente ridotti, al 10%, nella giornata del 2 aprile. Figure come Carney e Albanese, rafforzati dagli elettori proprio dopo essersi presentati come nemesi di Trump, ora dovranno venire a patti col presidente Usa e fare squadra per consolidare il multilateralismo e le strategie comuni. In quest’ottica, Ottawa sta cercando da tempo la sponda dell’Unione Europea e può contare anche sul leader laburista del Regno Unito, Keir Starmer, affine ideologicamente e politicamente ai premier delle ex colonie di Londra. Il fatto che il Canada, Paese presidente di turno del G7, abbia invitato proprio l’Australia a partecipare al vertice in Alberta di giugno subito dopo la riconferma di Albanese potrà rafforzare la strategia multilaterale degli alleati degli Usa e ricordare a Trump che, tuttora, c’è chi immagina un Occidente diverso. E in cui Washington dovrà dialogare con i Paesi ad essa più vicini, piuttosto che indebolire le basi di alleanze pluridecennali.

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