Proteste in Serbia, siamo vicini a un punto di svolta?

Potrebbero essere giorni decisivi. La sensazione che non si sia mai stati così vicini a una resa dei conti è forte. Da novembre in Serbia, dopo il crollo di una pensilina nella stazione di Novi Sad, che ha portato alla morte di 16 persone, vanno avanti senza sosta le proteste contro la corruzione e il sistema di potere al cui vertice c’è il presidente Aleksandar Vučić. Il dissenso è culminato il 15 marzo con una manifestazione oceanica a Belgrado, che ha visto scendere in piazza secondo fonti indipendenti tra le 275 e le 325mila persone. Immagini che hanno fatto il giro del mondo, ma quello che sta accadendo in queste ore nella capitale ha una portata forse ancora più dirompente. Da lunedì gli studenti, che sono alla testa delle proteste, bloccano gli accessi alla sede della televisione pubblica. Molti programmi cancellati, palinsesto allo sbando, i telegiornali sono trasmessi da uno studio improvvisato in una località che i vertici dell’azienda hanno cercato più possibile di tenere nascosta. Una prova generale si era tenuta a inizio marzo con un blocco di 24 ore e con delle iniziative contro Informer, la testata che più di tutti fa da megafono al presidente Vučić. Stavolta però davanti alla RTS, questo il nome della televisione di Stato, sembrano voler andare a fondo e da più di 80 ore l’ingresso è presidiato. Gli studenti, a cui si sono uniti tantissimi cittadini, chiedono trasparenza, una stampa libera, ma soprattutto un concorso per eleggere i membri del comitato di regolamentazione dei media. Ci sono state già forti tensioni tra dimostranti e forze dell’ordine, ma il timore che le autorità reprimano in modo violento la “blokada” è cresciuto dopo le recenti dichiarazioni di Vučić. “La Serbia avrà la forza di proteggere l'ordine costituzionale", ha dichiarato, chiosando che se costretto lo farà anche con la forza. Dei toni in linea con il discorso pronunciato alla piazza del Parlamento sabato scorso, quando si è tenuta la contro-manifestazione - solo 55mila presenti secondo l’Archivio dei raduni pubblici - che il presidente minacciava da mesi. Dal palco allestito di fronte all’Assemblea nazionale ha tuonato cinque richieste, utilizzando lo stesso lessico degli studenti, che sulle zahtevi - "richieste" in serbo - hanno plasmato tutta la loro campagna, e invocando l'intervento di procure e tribunali per mettere fine al "terrore". Parole che hanno allarmato media indipendenti, insegnanti e attivisti. Dal giornale di opposizione Danas l’editorialista Snežana Čongradin ha scritto: “Sono gli ultimi giorni, o lui o noi…”. Mentre il presidente si esprimeva contro il blocco di RTS, un altro raduno si svolgeva davanti alla Direzione della Polizia Criminale a sostegno del rettore dell’Università di Belgrado. Vladan Đokić - che è un simbolo dell’alleanza tra studenti e professori, uniti contro l’establishment politico - è stato interrogato per due ore e mezza nell'ambito di una procedura pre-investigativa per il reato di abuso d'ufficio. Đokić come centinaia di docenti e decani degli atenei del Paese è al fianco degli studenti. “Questa è in realtà una denuncia non solo contro di me, ma contro l'intera comunità accademica. Dobbiamo essere uniti e coesi", ha dichiarato una volta uscito dall’edificio. Lo scontro tra autorità e istruzione pubblica ha fatto un salto di livello. Il presidente ha lanciato la proposta di redistribuire le risorse all’educazione nazionale per premiare le scuole e le università private che si stanno dimostrando più “affidabili”. Un progetto che suona come una punizione e che non sarebbe la prima, visto che già da due mesi centinaia di professori degli atenei statali non ricevono lo stipendio. Questo Venerdì Santo verrà difficilmente dimenticato. Vučić, che ha fatto della religione ortodossa uno dei pilastri della sua ideologia conservatrice, rimprovera agli studenti di non aver risparmiato neanche la più grande festa cristiana. In realtà, la direttiva degli universitari - che sabato sono scesi in piazza nella città meridionale di Novi Pazar, giovedì nel cuore della Serbia a Kraljevo e martedì sono arrivati fino a Strasburgo per sensibilizzare l’Unione europea - è di mettere da parte i fischietti per un giorno e di protestare in silenzio per non urtare la sensibilità dei credenti. Vengono in mente i versi di una canzone scritta da uno strenuo oppositore del leader nazionalista Slobodan Milošević, che è stata spesso citata in questi mesi. Sul finire degli anni Novanta, segnati dalle guerre balcaniche e dalle grandi proteste che accelerarono la caduta del regime, Balašević compose una ballata malinconica che faceva più o meno così: “Mi sembrava che Belgrado stesse celebrando una grande Pasqua dello spirito”.

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