Bombe sull'ospedale, la violenta escalation di Israele a Gaza

La nuova fase del conflitto con Hamas ha raggiunto ieri un nuovo picco di distruzione, con il bombardamento dell’ultimo ospedale rimasto operativo nella zona. Si tratta dell’Al Ahli Arab Hospital di Gaza, struttura gestita dalla diocesi episcopale anglicana di Gerusalemme, sopravvissuta alla distruzione del complesso di Al-Shifa e di altri centri ospedalieri nel Nord della Striscia. Domenica l’edificio è stato colpito da un raid aereo che ha gravemente danneggiato i reparti di chirurgia e terapia intensiva. Secondo le forze armate israeliane, l’ospedale avrebbe ospitato una base di Hamas, ma a queste accuse non sono seguite prove concrete. Una parte dell’edificio è stata avvolta dalle fiamme e, sebbene non risultino vittime dirette dell’attacco, un bambino con un grave trauma cranico è deceduto durante l’evacuazione forzata, definita “affrettata” dalla diocesi. In serata, riporta la BBC, “funzionari dell’Israel Defense Force hanno telefonato a medici in servizio al pronto soccorso ordinando l’evacuazione immediata della struttura”, provocando una fuga disordinata di personale sanitario e pazienti, documentata da diversi filmati. Un atto che ha suscitato condanna a livello internazionale, aggravato dal fatto che si è verificato nel giorno della Domenica delle Palme. Al centro delle critiche, la decisione israeliana di colpire una struttura sanitaria adducendo la possibile presenza di miliziani. “Gli ospedali sono protetti dal diritto internazionale umanitario. Gli attacchi all’assistenza sanitaria devono cessare”, ha affermato il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus. Lo stesso ospedale era già stato colpito il 17 ottobre 2023, dieci giorni dopo l’inizio del conflitto, da un’esplosione che provocò la morte di almeno 250 persone. All’epoca, diverse analisi riconducevano la responsabilità a un colpo d’artiglieria israeliano. Era l’inizio di una dinamica destinata a ripetersi: pochi scontri diretti tra Hamas e IDF, ma una campagna incessante di bombardamenti nei centri abitati. Netanyahu ha concesso un solo cessate il fuoco, nel gennaio 2025, salvo poi sospenderlo dopo poche settimane, compromettendo anche le trattative per la liberazione degli ostaggi rapiti il 7 ottobre, tuttora detenuti a Gaza. Intanto, il numero delle vittime continua a salire: il ministero della Salute locale parla di 50mila morti, anche se si tratta probabilmente di una cifra sottostimata. Le tensioni si riflettono anche all’interno di Israele. Le recenti proteste contro la conduzione del conflitto hanno portato al licenziamento di mille riservisti dell’Aeronautica, di cui sessanta in servizio attivo. La società israeliana appare sempre più divisa, con una parte crescente della popolazione che accusa il governo di alimentare lo scontro per ragioni di sopravvivenza politica. La percezione che l’esecutivo stia esasperando il conflitto per rafforzarsi internamente si fa strada anche tra i cittadini israeliani, acuendo le fratture in un paese già profondamente polarizzato. La guerra ha inflitto duri colpi a Hamas, ma sta lasciando cicatrici profonde anche nello Stato ebraico. E le conseguenze sociali del conflitto, temono in molti, saranno difficili da cancellare.

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