
Il presidente Usa fa slittare l'entrata in vigore del sovrapprezzo su alcuni prodotti considerati chiave per il futuro degli Stati Uniti. Dovrebbero partire in ogni caso le tasse reciproche contro i "dirty 15", i 15 Paesi con cui Washington ha il peggior squilibrio commerciale, anche se verso alcuni Stati potrebbero essere “inferiori” di quanto previsto
La linea di Donald Trump sui dazi continua a essere poco chiara. In una riunione di governo ha annunciato che le tariffe su auto, alluminio e prodotti farmaceutici, tutti prodotti che vuole che diventino made in Usa, soprattutto per garantirsi una copertura nel caso in cui ci siano "problemi" (guerre comprese), partiranno “in un prossimo futuro”, ma date certe non esistono. Come tutti gli altri, chip compresi, sarebbero dovuti partire dal 2 aprile, giornata da lui ribattezzata “Liberation Day”. Dovrebbero entrare in vigore in ogni caso i dazi reciproci ai "dirty 15", ossia ai 15 Paesi con cui Washington ha il peggior squilibrio commerciale, anche se verso alcuni Stati potrebbero essere “inferiori” di quanto previsto. Resta sconosciuto il destino dei dazi su acciaio e alluminio a Canada e Messico, anche questi in precedenza sospesi dal presidente sino al 2 aprile. La Borsa di New York applaude al nuovo quadro che si delinea: a differenza di quelle europee è rimbalzata dopo quattro settimane di perdite tra timori di guerre commerciali, crescita dell'inflazione e raffreddamento delle stime di crescita.
Rimandati i dazi sulle automobili
C’è da dire che Trump ha già bloccato per un mese nel mercato nordamericano i dazi sulle auto, su richiesta delle tre Big: Gm, Ford e Stellantis. Se le tariffe sull'automotive fossero sospese, ne beneficerebbero in particolare la Germania e anche l'Italia, come principale subfornitore del settore tedesco. Adesso anche verso Hyundai la posizione si è ammorbidita. La casa sudcoreana non dovrà pagare alcuna tariffa, forte dell’annuncio di un investimento di 20 miliardi di dollari negli Stati Uniti, compresa un'acciaieria da 5 miliardi di dollari in Louisiana che dovrebbe assumere circa 1.500 dipendenti e produrre acciaio di nuova generazione per produrre veicoli elettrici in due suoi stabilimenti.
L'imprevedibilità come arma: il caso del Venezuela
Trump recentemente ha sottolineato l'importanza della flessibilità, che utilizza infatti come un’arma: tutto potrebbe cambiare all'improvviso. Come con Caracas, cui ha imposto una "tariffa secondaria" contro l'emigrazione di "decine di migliaia di criminali", in base alla quale "qualsiasi Paese acquisti petrolio e/o gas dal Venezuela sarà costretto a pagare una tariffa del 25% agli Stati Uniti su qualsiasi commercio che faccia con il nostro Paese".

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I "dirty 15" nel mirino di Trump
Chi sono i 15 Paesi nel mirino dell'amministrazione di Trump, contro cui i dazi sembrano più certi che altrove? Nessuno li ha nominati, ma si pensa che a essere presi di mira saranno quelli indicati dal rappresentante commerciale degli Stati Uniti in una nota del Federal Register in febbraio. In testa c'è la Cina (con cui gli Usa hanno un deficit di quasi 300 miliardi di dollari), seguita dall'Ue (oltre 225 miliardi) e Messico (quasi 175 miliardi). La lista comprende, in ordine decrescente, Vietnam, Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Canada, India, Thailandia, Svizzera, Malesia, Indonesia, Cambogia e Sudafrica. Nel mirino anche la Russia. Resta l'incertezza se i dazi entreranno in vigore subito o se ci sarà un margine per negoziare, come stanno già facendo molti Paesi, Italia compresa.
