Contro-dazi: la Cina risponde, il Messico no. E l’Europa?

Il nuovo ordine mondiale? Un ordine… sparso. La risposta ai dazi americani non è certo un fronte comune. D’altronde, è la riproposizione in salsa geo-commerciale dell’eterno dilemma: difendersi blandendo o difendersi contrattaccando? Di dato certo, c’è la necessità di difendersi. In attesa del 2 aprile, giorno di promessi nuovi annunci globali , stiamo a quanto deciso finora, ripulendolo dalla pletora di annunci, dichiarazioni, minacce, retromarce. La linea del colpo su colpo Alcuni Paesi hanno deciso la linea del colpo su colpo. Altri di non imporre contro-dazi. Altri ancora hanno scelto una via di mezzo dal delicatissimo equilibrio, limitandosi a una risposta parziale e, di fatto, interlocutoria. In attesa di capire le prossime mosse del vulcanico inquilino della Casa Bianca. Nel primo gruppo c’è la Cina: Xi Jinping ha deciso di rispondere all’aumento dei dazi voluto da Trump, che il 4 marzo li ha raddoppiati su migliaia di manufatti cinesi spediti oltreoceano, soprattutto nel settore dell’elettronica. Il 10 marzo Pechino ha alzato le tasse alla Dogana su prodotti agricoli e alimentari statunitensi, del 10 e 15% a seconda dei beni. Polli e maiali, due degli ingredienti principali della dieta del Paese, costeranno di più agli abitanti del Dragone, se importati dagli States, oltre a grano, mais, cotone, soia, frutta, verdura, prodotti ittici e latticini a stelle e strisce. La rappresaglia colpisce beni statunitensi per 22 miliardi di dollari, è la stima, in quello che per gli Usa rappresenta il più grande mercato per le esportazioni agricole. Quasi 21 miliardi sono le merci Made in Usa colpite dai contro-dazi del Canada, il riottoso vicino del neo premier Mark Carney: linea dura, la sua scelta dal primo giorno. La linea del "dialogo e rispetto" L’esatto opposto del neo premier britannico Starmer, o di Claudia Sheinbaum, la presidenta del Messico, che ha subito parlato di “dialogo e rispetto” con Washington. Tradotto: no contro-dazi, per non inasprire lo scontro, ma qualche concessione ai desiderata di Trump . “Ha trasformato la minaccia esterna in un boom interno, radunando la nazione attorno al suo governo”, ha scritto il Financial Times: con l’indice di popolarità alle stelle, la folla arringata in mega raduni da star , il buon viso a cattivo gioco e la porta sempre aperta al dialogo con Trump. Che infatti pare gradire. La terza via La terza via è infine quella scelta dall’Unione europea. Von der Leyen deve mediare tra sensibilità e interessi diversi. Italia e Germania sono i due parner che esportano di più in Usa, e sui contro-dazi frenano. Altri sono più interventisti. La sintesi sono i rincari introdotti per un valore di 26 miliardi di dollari di merci americane, a partire dal primo aprile. Tasse su barche, whisky, bourbon, motociclette, elettrodomestici, alcuni prodotti agricoli. È stato abbastanza facile attivarle, perché è bastato far scadere la sospensione di misure già esistenti: erano state introdotte nel 2018 e 2020, epoca del primo mandato di Trump, e poi congelate. Per le mosse future, non sarà altrettanto agevole. Ci si aspetta per i primi di aprile la proposta di un pacchetto di nuove contromisure. Attenzione però: anche queste impattano, ovviamente, sulla nostra crescita. L’ha ricordato il 20 marzo la numero uno della BCE Christine Lagarde: coi dazi americani, si stima una perdita di 0,3% del pil quest’anno, coi contro-dazi europei il calo arriverà allo 0,5% . Appena il giorno prima, il suo omologo della Fed Jerome Powell aveva ribadito la preoccupazione per “l’incertezza insolitamente elevata” che nuoce all’economia Usa, tagliando di conseguenza le previsioni di crescita per quest’anno e alzando nel contempo quelle sull’inflazione. “A livello europeo credo che si cercherà di colpire più i servizi che i beni – spiega a SkyTg24 Antonio Cesarano, strategist di Intermonte Sim – perché dagli Usa compriamo molti più servizi che prodotti. Ad esempio, aumentando la tassazione per le multinazionali americane come Amazon, Google e altre”. Dal punto di vista di strategia politica, “Trump guarda alle elezioni di medio termine, nel 2026 – conclude Cesarano – perciò aumenta la pressione sui dazi adesso, così ha tempo di iniziare la de-escalation verso fine anno. Il secondo trimestre 2025 sarà la fase centrale di questa politica, poi dopo l’estate, valutando i risultati ottenuti, si inizierà probabilmente a rallentare”: è la sua previsione. “I contro-dazi europei finora decisi colpiscono meno dell'8% delle esportazioni statunitensi verso l'UE – spiega a SkyTg24 Ludovic Subran, capoeconomista di Allianz Trade – e circa l’1% delle esportazioni totali degli Stati Uniti. Bruxelles potrebbe decidere per altri dazi, ad esempio sui servizi digitali delle grandi piattaforme online con sede negli Usa, colpendo così le aziende tecnologiche americane. Ma potrebbe anche prendere in considerazione – conclude Subran – qualche concessione politica per allentare le tensioni. Per esempio, aumentare le importazioni di GNL e prodotti agricoli dagli Stati Uniti, acquistare più equipaggiamento militare americano, attenuare l'impatto delle normative UE sulle aziende tecnologiche statunitensi, in particolare per quanto riguarda le leggi sulla concorrenza e i mercati digitali”. La terza via europea è un grande cantiere.

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