Corea del Sud, perché la Corte ha revocato l'impeachment al premier

Colpo di scena in Corea del Sud, dove la Corte Suprema ha annullato l’impeachment del primo ministro Han Duck-soo, votato dal Parlamento il 27 dicembre. La mossa, approvata da cinque giudici su otto attualmente in carica nella massima magistratura di Seul, apre un nuovo capitolo nella lunga e controversa vicenda che ruota attorno al processo di impeachment del capo dello Stato Yoon Suk-yeol, in un Paese che appare sempre più diviso. Han, 75 anni, economista con un passato da diplomatico, guida il governo dal 2022 e sul finire del 2024 ha servito come presidente facente funzioni, dopo che il capo dello Stato Yoon Suk-yeol è stato messo in stato d'accusa dall'Assemblea Nazionale di Seul per l'autogolpe del 3 dicembre e l’imposizione della legge marziale, ritirata poche ore dopo, a seguito dell'opposizione del Parlamento e di vibranti proteste di piazza. Vicino al Partito del Potere Popolare , di orientamento conservatore e vicino a Yoon, l’indipendente Han ha guidato il Paese dal 14 al 27 dicembre, prima di essere a sua volta messo in stato d’accusa dall’Assemblea Nazionale. Perché Han era stato messo sotto accusa Il motivo? Il rifiuto del capo del governo di completare l’organico della Corte Suprema, chiamata a decidere, entro sei mesi, sulla decadenza del presidente. La maggioranza parlamentare, guidata dal Partito Democratico di Corea di centro-sinistra, ha spinto per mettere il premier sotto accusa, facendolo sostituire dal vice e ministro delle Finanze Choi Sang-mok, sia nella carica ufficiale sia nel ruolo di presidente pro tempore. Questi ha compiuto le nomine non fatte da Han, ma solo in parte: Choi, ricorda il Korea Times, “ha nominato due giudici della Corte a dicembre, ma ha rinviato la terza nomina, adducendo la necessità di un consenso bipartisan” per riempire il nono e ultimo posto della Corte Costituzionale. La partita politica resta estremamente complessa e, in quest’ottica, non è affatto scontata la votazione sulla decadenza dello stesso Yoon da parte della Corte. Ad oggi, la Corea del Sud è in un limbo. Yoon è in stato d’accusa, deve affrontare un processo per tradimento e attentato alla Costituzione davanti al tribunale di Seul in relazione ai fatti del 3 dicembre, è stato anche arrestato e posto in stato di fermo, prima di essere rimesso in libertà due settimane fa. Nel frattempo, però, ha visto radunarsi alle sue spalle un nutrito stuolo di sostenitori. Per confermare la decadenza di Yoon servono sei voti nella Corte Costituzionale di Seul, che la prova generale del voto su Han ha mostrato profondamente divisa. Per quanto gli addebiti al capo dello Stato sospeso siano ben più gravi, ogni sorpresa è possibile. E i sostenitori del presidente, nel frattempo, sono scesi in piazza. In piazza i sostenitori di Yoon Il New York Times ha segnalato la grande manifestazione di sabato a Seul, guidata dai membri delle chiese pentecostali più conservatrici: “Decine di migliaia di fedeli cristiani, veterani militari e altre persone, perlopiù anziane, hanno occupato il viale principale nel centro di Seul, molti dei quali seduti su file ordinate di sedie di plastica, con cartelli in mano che chiedevano la reintegrazione del presidente”. "Se Yoon non verrà reintegrato, ci sarà una guerra civile", ha ammonito il predicatore più radicale tra i suoi sostenitori, Jun Kwang-hoon. Per Jun, l’impeachment di dicembre era illegittimo perché parte di una “crociata patriottica” contro i “rossi comunisti vicini alla Corea del Nord”. Il pensiero dominante negli ambienti pro-Yoon è che l’impeachment sia sostenuto dall’opposizione progressista per coprire presunte connivenze tra i suoi vertici e Pyongyang, indebolendo Seul in una fase di grande confronto geopolitico su scala globale e riarmo nordcoreano. Nel frattempo, la lotta di potere mina la stabilità democratica del Paese: a causa delle fratture tra governo e magistratura, a febbraio il Democracy Index 2024 dell'Economist Intelligence Unit ha declassato la Corea del Sud da "democrazia completa" a "democrazia imperfetta". Il New York Times ha segnalato che negli ultimi giorni Choi ha “assegnato guardie del corpo a Lee Jae-myung, il principale leader dell'opposizione, dopo che il suo partito ha segnalato minacce di assassinio anonime”. La democrazia coreana in bilico La votazione favorevole a Han ha rafforzato la speranza, tra i sostenitori di Yoon, di un esito positivo per il presidente, ma ha alimentato anche forti timori circa le possibili conseguenze di un suo reinsediamento: “Il Paese è a un bivio”, ha detto Cho Gab-je, direttore del Monthly Chosun, uno dei più diffusi periodici sudcoreani. Per Cho, “se la Corte rimetterà Yoon in carica nonostante quello che ha fatto, darà ai futuri leader del Paese la licenza di governare con la legge marziale”, trasformando Seul “in una repubblica delle banane”. Le parole dell’ottantenne giornalista, uomo di destra e non sospettabile di antipatie preconcette verso il presidente, mostrano la trasversalità delle preoccupazioni nella società civile di Seul, mentre il movimento pro-Yoon si sta intanto distanziando dalla tradizionale base conservatrice del PPP per assumere toni sempre più populisti. Il motto circolante online tra i sostenitori di Yoon è “Stop the Steal”, lo stesso dei sostenitori di Donald Trump nella campagna fallimentare per sovvertire l’esito del voto del 2020 dopo la sconfitta contro Joe Biden. La speranza di Yoon e dei suoi è che, in caso di reinsediamento, proprio l’attuale presidente americano possa riabilitare il capo di Stato di Seul, passando – come suo solito – sopra le arbitrarie violazioni della legge del suo omologo. Ma per arrivare a quel punto ci vorrà tempo. Per ora, l’orizzonte temporale della Corea del Sud si ferma alla metà di giugno, termine ultimo per il voto sulla decadenza di Yoon. Un voto che si preannuncia divisivo in un Paese spaccato, e da cui dipende il futuro di uno Stato strategico per l’Asia e per l’economia globale, atteso dalla prova più dura della sua relativamente breve storia democratica.

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