Siria, la rivolta degli alawiti mostra la fragilità del governo al-Sharaa

La sera del 6 marzo, nei governatorati di Latakia e Tartus, nella regione costiera della Siria, i lealisti del vecchio regime hanno messo in campo la più corposa delle manovre contrarie al nuovo governo di Ahmed al-Sharaa attaccando caserme, posti di blocco e snodi strategici. Braccio di ferro tra Tartus e Latakia Il ministero dell’Interno di Damasco parla di “molti morti e feriti tra le nostre forze”, soprattutto nell’area di Jableh, vicino a Latakia. Syria Tv, emittente vicina al governo, parla di 13 morti tra le forze di sicurezza citando che gli attacchi sono opera di “ciò che resta delle milizie di Assad”. Secondo l’Osservatorio Siriano sui Diritti Umani, invece, la conta sarebbe più pesante: 71 morti, compresi 35 delle forze di sicurezza, 32 tra gli insorti, che farebbero riferimento a un autoproclamato Consiglio militare per la liberazione della Siria, e 4 civili. La zona teatro degli scontri è la storica roccaforte degli alawiti, la setta sciita di cui fa parte la famiglia Assad e in cui anche la Russia ha posto le più strategiche basi nel Paese levantino: a Latakia, un’importante base per l’aeronautica; a Tartus, l’unico scalo navale di Mosca nel Mediterraneo. Coprifuoco a Tartus e Latakia A Tartus e Latakia è stato imposto un coprifuoco e le forze del governo di al-Sharaa hanno comunicato di aver riportato l'ordine nelle città e nelle aree circostanti nel corso della notte. Ma chiaramente non può essere sottovalutata la presenza di una residua e tanto vasta sacca di ribellione contro il nuovo governo nel quadro della corsa della Siria post-Assad verso il futuro. Del resto, è indubbio che nelle aree rivierasche della Siria la caduta di Assad abbia causato sconcerto perché, ricorda Reuters, il vecchio regime “ha reclutato ingenti risorse dalla comunità alawita per l'apparato di sicurezza e la burocrazia dello Stato siriano, che le autorità guidate dagli islamisti stanno cercando di riorganizzare , anche attraverso licenziamenti di massa di fedeli del Rais deposto”. La Siria, le Sirie Al contempo, ad oggi c’è stata una grande difficoltà nel dialogo tra al-Sharaa, di recente nominato presidente ad interim del Paese, e i vertici della comunità alawita. L’ex leader del gruppo militante Hay’at Tahrir al-Sham ha incontrato molti rappresentanti di minoranze come drusi, cristiani, armeni e curdi ma non gli appartenenti al mondo alawita, che peraltro non ha più un vero e proprio punto di riferimento dopo la fuga della famiglia che ha governato le sorti del Paese per oltre mezzo secolo. Su questa mancanza di dialogo si innestano i tentativi di rivolta delle ultime sacche di fedelissimi di Assad, concentrate proprio nell’Ovest del Paese. Il gruppo della Resistenza Popolare Siriana che ha iniziato a operare a fine dicembre si dichiara portavoce del rinascente movimento legato al Partito Baath, ormai sciolto, e accusa lo Stato siriano che il nuovo governo sta modellando di essere un agente di Israele, Nato e Usa. I problemi della nuova Siria La questione alawita resta uno dei più grandi problemi per una nuova Siria che, da un lato, prova a operare come attore legittimo nei consessi internazionali e di recente ha partecipato anche al summit della Lega Araba su Gaza e, dall’altro, manca di unità interna. Al malcontento alawita e a una guerriglia in cui, tra Tartus e Latakia, più di 300 persone sono morte da dicembre a oggi si aggiungono la sempre immanente questione curda, con le Forze Siriane Democratiche e il nuovo governo di Damasco che non hanno ancora trovato un accordo definitivo per la convivenza reciproca, e la presenza israeliana nelle aree occupate a Sud, estese durante i giorni convulsi della caduta di Assad. Il rais è caduto e si continua, però, a parlare di più Sirie. Ricondurle a unità sarà la più grande sfida da vincere per il nuovo governo dell’ex militante al-Sharaa.

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