Tank israeliani in Cisgiordania, a Gaza tregua in bilico

È altissima la tensione in Cisgiordania, dove Israele ha avviato una massiccia operazione militare nei campi profughi palestinesi. È la prima volta dall’operazione ‘Scudo difensivo’, del 2002, che i tank delle forze di difesa israeliane operano nella regione occupata oltre il fiume Giordano mentre nella Striscia di Gaza, la prima fase del cessate il fuoco si avvicina alla scadenza in un clima di crescente incertezza e precarietà. Il ministro della Difesa Israel Katz, ha ordinato all’IDF di rimanere nei 3 campi profughi della Cisgiordania, “almeno per il prossimo anno” e che pertanto non permetterà a nessuno di tornare. “Finora 40mila palestinesi sono stati evacuati dai campi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams, e ora sono vuoti. Anche l’attività dell’UNRWA è stata interrotta”, ha affermato Katz. Intanto il premier Benyamin Netanyahu si è detto pronto a riprendere i combattimenti a Gaza “in qualsiasi momento”. Il primo ministro ha poi chiesto la “smilitarizzazione totale” della Siria meridionale. Così facendo, il governo risponde alle pressioni delle frange più radicali della destra nazionalista e identitaria, da Potere Ebraico di Itamar Ben Gvir a Sionismo Religioso, il partito del Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che hanno criticato il premier per aver concluso il cessate il fuoco con Hamas nella Striscia di Gaza. La posizione dei radicali israeliani L’assalto alla parte orientale della Palestina è partito dopo che giovedì degli attentatori hanno provocato l’esplosione di alcuni bus a Tel Aviv, in un’operazione che non ha provocato vittime ma che Israele ha attribuito ai militanti attivi nei campi profughi. Netanyahu ha perciò annunciato con toni enfatici che le forze armate israeliane stanno "entrando nelle roccaforti dei terroristi, spianando intere strade che i terroristi usano e le loro case". Una presa di posizione che non solo presenta il governo come intento a garantire la sicurezza dello Stato Ebraico di fronte ai suoi sostenitori ma consente di alimentare ulteriormente il clima di mobilitazione militare e politica di Israele, rafforzando la figura di Netanyahu come primo ministro di guerra. Un’immagine, quest’ultima, necessaria per non mettere in discussione l’assetto dell’esecutivo e prevenirne la caduta, che costringerebbe il premier ad affrontare i diversi processi in cui è coinvolto. La tregua in bilico a Gaza Le tensioni nella Cisgiordania occupata proseguono mentre nel frattempo la tregua a Gaza rischia di deragliare in seguito al mancato rilascio dei prigionieri palestinesi la cui liberazione era prevista, come da accordi, sabato da parte di Israele. Netanyahu ha fatto sapere che la loro scarcerazione sarà sospesa finché Hamas non porrà fine agli “show umilianti” che tiene durante la consegna degli ostaggi israeliani. Questo ha portato Hamas a sospendere i negoziati al Cairo finché l'accordo non sarà rispettato. Al contempo, Tel Aviv, secondo la testata israeliana, sarebbe pronta a chiedere condizioni durissime ai militanti palestinesi per far proseguire il cessate il fuoco. Nei negoziati per la fase due, "Israele chiederà la restituzione di tutti gli ostaggi, il disarmo di Hamas, la smilitarizzazione di Gaza e l'esilio dei leader di Hamas e di quelli del gruppo terroristico alleato Jihad islamica". Proposte draconiane che difficilmente, potranno essere accettate. Ai mediatori, Egitto e Qatar, il compito di trovare la quadra mentre i venti di guerra soffiano impetuosi su entrambi i fronti della Palestina.

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