Ucraina, il vertice Usa-Russia è un successo per Mohammad bin Salman

Amico incrollabile degli Stati Uniti, ma anche della Russia, tanto da non approvare mai le sanzioni economiche contro Mosca. Nemico dell’Iran, sì, ma pronto anche a siglare accordi per sedare la tensione con Teheran, grazie ai buoni uffici di Pechino. Con cui, ovviamente, ha eccellenti relazioni. Se ci si chiede perché l’assolata Riad – quasi a contrasto col gelo russo-ucraino - ospiti i colloqui tra Mosca e Washington, in gran parte la risposta è questa: l’Arabia Saudita piace un po’ a tutti i protagonisti della vicenda. Eppure, ci sarebbero eccellenti e solidi motivi per essere – quantomeno – cauti. I dossier scottanti di Riad Ci sono innanzitutto i legami col jihadismo – di cui è stata il principale sponsor per molti anni, in un circolo vizioso per cui da un lato era la migliore alleata d’area degli Usa, dall’altro finanziava le madrase integraliste, vera fucina del terrorismo islamista. E non a caso Bin Laden era saudita. Ora il “reggente” Mohamed bin Salman – come ama essere chiamato – sostiene di aver tranciato ogni legame. Anche se bisogna ricordare che il Regno nasce dall’alleanza tra i Saud – i politici – e gli Wahab – i religiosi, di stampo integralista. Ci sono poi i diritti i diritti delle donne – pressoché inesistenti – come sono inesistenti anche i diritti dei lavoratori stranieri, in buona sostanza schiavi cui viene perfino prelevato il passaporto. Per non parlare della disinvoltura con cui il principe ereditario Mohamed bin Salman è salito de facto alla guida del regno – incarcerando tutti gli oppositori. Il caso Khashoggi A rendere potenzialmente imbarazzante la presenza dell’Arabia Saudita in ogni consesso internazionale c’è soprattutto il caso Jamal Khashoggi. Giornalista, oppositore dell’attuale regnante, era espressione dell’aristocrazia saudita, e quindi beneficiava di una discreta libertà di espressione e di movimento. I suoi reportage, ma soprattutto le sue denunce in contesti internazionali, mettevano in imbarazzo MBS. Il fatto che l’attuale vertice sia stato il mandante del brutale omicidio è un fatto acclarato. E però, di fronte all’infinita disponibilità politica – ed economica – di Riad, la comunità internazionale ha superato anche la decapitazione del giornalista dentro il consolato saudita di Istanbul. Non un maquillage, ma un'abile operazione Quindi, più che il “perché”, evidente, forse vale la pena di chiedersi “come” MBS sia riuscito in questa rapida operazione di riscatto della sua immagine. Bisogna permettere che non è stata né un’operazione di facciata né degli ultimi tempi, bensì il risultato di un attento lavoro diplomatico e politico, in cui MBS ha dimostrato scaltrezza e visione. Innanzitutto, fin dalla prima presidenza Trump, ha rinforzato il ruolo di “sponda” dell’America in Medio Oriente. Si è mosso con energia facilitando gli Accordi di Abramo, cioè la normalizzazione con Israele di gran parte dei Paesi del Golfo. Processo che avrebbe dovuto coinvolgere anche Riad, ma interrotto dal 7 ottobre e la guerra di Gaza. Il fardello della questione palestinese Un filo che si può ricucire, anche se la questione palestinese rappresenta un ostacolo non da poco. E il problema è di immagine, più che di sostanza. In effetti, il Regno non ha alcuna simpatia per il gruppo palestinese che controlla Gaza. E con fondati motivi. A partire dal fatto che la dirigenza palestinese – dal punto di vista saudita - ha compiuto mosse avventate: a partire dal fatto che il movimento e i suoi alleati si sono stretti a Teheran. E la Repubblica Islamica, leader del mondo sciita, contende la leadership del mondo islamico in contrapposizione insanabile con Riad. Come se non bastasse, Hamas è una costola dei fratelli musulmani, un tempo stretti alleati ma, dopo la guerra del Golfo del ’91, nemici acerrimi di Riad. Al netto di queste considerazioni l’opinione pubblica araba, e anche saudita, sul punto non ammette compromessi. Ecco perché MBS spera anche che l’amministrazione Trump possa risolvere in fretta anche il dossier Gaza, con la stessa sbrigativa efficienza con cui sta affrontando la guerra in Ucraina. Il triumvirato del petrolio Perciò, per ora Mbs lavora sul medio-lungo periodo. Se sono chiari i motivi che spingono l’Arabia Saudita ancora di più tra le braccia degli Stati Uniti, forse bisogna chiedersi perché l’abbraccio è restituito con altrettanta passione da Washington che, pur tra alti e bassi, ha anche altri alleati nell’area. A guardare bene c’è un collante straordinario che lega il Regno agli Usa, e anche alla Federazione Russa, tra l’altro sua collega dell’Opec Plus. Il petrolio è prodotto da tutti e tre i paesi, rappresenta una voce cruciale per le loro economie. Al di là dei progetti di città futuribili energeticamente autosufficienti – come the Line – Riad è ancora saldamente legata alle energie fossili. Così Washington. E così anche Mosca.

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