René Karabash: “La mia generazione scrive per riparare la società”

Bekià vive tra le montagne impervie dell’Albania settentrionale in una comunità in cui a dettare legge è il Kanun, un antico sistema di norme consuetudinarie che si fonda sulla vendetta e sulla sopraffazione della donna. La giovane esponendo la sua famiglia a una ritorsione di sangue si sottrae al matrimonio combinato a cui è destinata, diventando una “vergine giurata”: le burrneshe rinunciano agli abiti e all'identità femminili per ricoprire il ruolo di uomini. Il romanzo lirico, con tratti sperimentali, “Colei che resta” di René Karabash, al secolo Irena Ivanova, è ambientato in questo mondo apparentemente lontano che, però, pagina dopo pagina rivela un volto familiare: ci parla, ci interroga, ci chiama in causa. L’autrice ritorna sui luoghi e sulle atmosfere narrate in “Aprile spezzato” dal grande scrittore albanese Ismail Kadare, con la sensibilità di una Millennial che vede in quello spaccato una metafora della storia dell'umanità e un indizio sulla direzione in cui sta andando la società, globalizzata nell’oppressione della donna e nell'impiego della violenza nella risoluzione dei conflitti. Abbiamo incontrato Karabash, originaria di Lovech, a Sofia, la città in cui vive da dieci anni. Sullo sfondo del dialogo una capitale che negli ultimi giorni, come un centinaio di altre città bulgare, è stata teatro di manifestazioni contro l’adozione dell’euro. La moneta unica entrerà in vigore il primo gennaio 2026, ora è ufficiale. La Bulgaria, Paese membro dell’Ue dal 2007, è “in bilico”, ci racconta Karabash: “i legami con Mosca sono ancora forti e il nostro processo di integrazione europea è un percorso tutt’altro che concluso. Il nazionalismo è difficile a estirpare”. Cosa l’ha spinta a scrivere? Un giorno mi sono imbattuta in alcune foto delle vergini giurate dall'Albania: sono soprattutto anziane e continuano a tenere fede al loro giuramento. Mi hanno colpito molto perché si presentavano come donne con l’aspetto di uomini. Sono molto interessata all'energia femminile e maschile nelle persone e a come si manifesta attraverso il corpo. Ed è così che ho deciso di scrivere questo romanzo. Anche se mi focalizzo su un fenomeno albanese e che riguarda solo alcune aree balcaniche, ho trasferito nel romanzo molte scene e situazioni vissute durante la mia infanzia che si è svolta nella Bulgaria profonda, lontana dalla capitale. L’Albania settentrionale è il caso limite, ma è un modo anche per parlare anche della Bulgaria. Nel mio Paese ci sono ancora leggi patriarcali, non scritte, e non è l'unico. Quindi è un libro in parte autobiografico... In Albania, in quella regione in cui il Kanun è legge, le donne hanno un prezzo, non hanno alcun diritto. Non possono andare al pub, indossare l'orologio, sono confinate a casa. In Bulgaria la situazione non è così drammatica, ma abbiamo ancora la sensazione che le donne non siano importanti quanto gli uomini. Sono sempre messe da parte: nelle professioni, nel lavoro, anche in famiglia. Sono cresciuta in una famiglia del genere, una tipica famiglia bulgara: mio nonno voleva avere nipoti maschi, ma nacquero solo femmine. Una storia che si ritrova nel libro. Ci sono molti esempi di scrittori della sua generazione, molti dell’Est Europa, che scrivono per denunciare il patriarcato e per porre al centro la questione di genere. Si sente parte di un movimento più ampio? Sì, mi sento una ribelle attraverso i miei libri. Le nuove generazioni sono impegnate a riparare i danni della società, e così gli scrittori esordienti. Io, però, ho capito che il mio romanzo fosse un romanzo femminista solo dopo averlo scritto, terminato. Non ci avevo pensato, è venuto naturale. Quello delle vergini giurate poteva essere un tema superato, ma purtroppo guardando cosa sta succedendo alle donne in tutto il mondo - pensiamo alle leggi sull’aborto - è ancora attuale. Sono una di quelli che pensa che l’arte possa cambiare le cose, almeno in parte. Prima nel lettore e poi nella società. La protagonista del suo libro ama un’altra donna, Dana. Inserisce il suo romanzo nella categoria "queer novel"? C’è una storia d’amore gay, ma non è quello il cuore del libro. Non considero il mio libro un romanzo queer. Non voglio che la gente lo consideri un romanzo queer, perché sarebbe un modo di ridurlo a un solo aspetto. Eppure dalle autorità bulgare è considerato queer e questo mi sta causando molti problemi. Cioè? Il parlamento bulgaro ha approvato una legge che vieta la "propaganda" Lgbtq+ nelle scuole, sul modello della legge russa. Inutile ribadire che questa presunta propaganda gender sia un’invenzione, ma questo ha avuto delle ricadute sul mio lavoro. Prima presentavo i miei libri in molte scuole, davanti a molti studenti, ma ora non sono sicura che potrò più farlo, perché rischierei di incorrere in multe. La letteratura come accade negli Usa con i book ban è spesso presa di mira per questioni ideologiche. Sì, la letteratura è politica. Abbiamo un'altra iniziativa in collaborazione con il Pen Club: io, Georgi Gospodinov, Ameliya Licheva, e diversi altri autori stiamo organizzando campagne di sensibilizzazione per includere alcuni scrittori contemporanei nei manuali di letteratura nelle scuole, libri che non vengono aggiornati da un'infinità di tempo. Stiamo cercando di cambiare la situazione, includendo più donne, più voci femminili nei manuali. Spero che sia il primo passo per cambiare più in generale la considerazione che si ha delle donne nella società bulgara. Abbiamo bisogno di un cambiamento. Tutto è così stagnante. Penso che la letteratura non sia un museo. Deve accelerare, deve muoversi con il lettore, con le persone. Lei è nata nel 1989, nell'anno spartiacque del nuovo ordine mondiale, della caduta del Muro di Berlino e del crollo del regime bulgaro. Un momento di grandi speranze nel futuro della democrazia. Qual è la sua prospettiva su tutto questo e sulla transizione? Parliamo di un processo trentennale che abbiamo alle spalle e che coincide con la mia vita, perché quando sono nata eravamo proprio nel passaggio da comunismo a democrazia, sulla soglia. Scherzando direi che per nascere ho aspettato che arrivasse quel momento. Ma c'è ancora molto lavoro da fare perché la democrazia è una maschera. Siamo governati da conservatori e dobbiamo fare i conti con una fortissima influenza russa. Non riusciamo ad affrancarci da Mosca perché è diffuso il sentimento che i russi in qualche modo ci abbiano salvati dall'Impero ottomano, dai turchi. Fatichiamo ancora oggi a trovare un equilibrio tra la democrazia europea, che sta cercando di tirarci fuori da questa palude, e il richiamo dell’Est. Siamo ancora immersi in una vecchia mentalità conservatrice e per questo patriarcale. La religione ortodossa è un fattore di freno al progresso, ma ricordiamo che la Bulgaria è profondamente nazionalista e questo è il più grande freno. L'orgoglio di essere bulgari, molto diffuso dalle mie parti, è a mio avviso è un sentimento superficiale e controproducente. Possiamo essere orgogliosi di molte altre cose. Ha descritto molto bene questa complessità, la Bulgaria divisa tra l'Unione Europea e la Russia, come altri Paesi dell'Europa orientale. Soprattutto negli ultimi giorni si parla molto dell'ingresso nell'Eurozona, perché è ufficiale: il primo gennaio 2026 la Bulgaria adotterà l’euro. Una notizia che ha portato alcuni gruppi a protestare. Circolano molte notizie false e propaganda in Bulgaria. Sono felice che siamo un altro passo più vicini ai valori europei e che adotteremo l'euro all'inizio del prossimo anno. So che non sarà facile. Ogni cambiamento è difficile. Ma penso che sia un bene per noi. Le persone dovrebbero esercitare lo spirito critico e non limitarsi a una sola fonte o a un titolo di giornale. Dov'è la verità? Se tutti iniziassero a chiederselo vivremmo in un Paese migliore. Pensa che sia un problema generazionale? Sì, in parte lo è. Ma ci sono anche molti giovani che influenzati dai genitori hanno interiorizzato le stesse opinioni. E questa trasmissione di idee fa molta paura: è davvero un trauma familiare, come se non riuscissero a camminare sulle proprie gambe e vedere il quadro generale, pensando sempre a quello che dicono i nonni e i genitori. Noi "giovani" abbiamo una vocazione internazionale. Abbiamo sempre più opportunità di viaggiare. Fa ridere perché le stesse persone che non vogliono l'euro in Bulgaria vanno al mare in Grecia e sono costrette a cambiare i lev bulgari in euro. Il suo romanzo racconta una società che vive nel passato ma che al tempo stesso può essere una proiezione del futuro. C’è dunque anche uno sguardo distopico nel suo libro. Impossibile non pensare al suo connazionale Gospodinov, il più grande scrittore bulgaro contemporaneo che ha ricevuto la consacrazione internazionale con "Cronorifugio", una distopia ironica. Penso sia importante mostrare al lettore cosa è stato il passato e cosa potrebbe essere il futuro. Il mio è un monito: il passato ritorna, è nel presente. Gli scrittori ci aiutano a visualizzare gli scenari. E per il suo futuro di scrittrice? Mi piacerebbe scrivere di più sul presente. Perché abbiamo tante ferite nel passato: alcune non sono rimarginate, sono ancora aperte. C’è una tendenza a raccontare il passato dimenticandosi del presente, che è la dimensione su cui possiamo intervenire per riparare le storture. A proposito di presente e passato, la tăgà è un sentimento di malinconia tipicamente bulgaro, come ci ha raccontato su queste pagine la traduttrice del suo romanzo Giorgia Spadoni: una malinconia di un futuro che non è mai arrivato. Sta dicendo basta tăgà? Adoro le malinconia, sono una persona malinconica che ama guardare al passato. Ma dobbiamo concentrarci di più sull’oggi e su come possiamo cambiarlo ora. Il suo libro diventerà un film a cui stai lavorando. Quali sono le sue aspettative al riguardo? Sì, stiamo girando il film in Albania ed è una coproduzione tra Bulgaria, Italia, Germania, Albania e Romania. Presto termineranno le riprese e il lavoro sta procedendo molto bene. Spero che a breve anche gli spettatori italiani lo potranno vedere. Ed è curioso anche per me, credo che questa sia la cosa più bella, vedere i miei personaggi diventare di carne e ossa..

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

René Karabash: “La mia generazione scrive per riparare la società”