Educare all'affettività, il ruolo della scuola può fare la differenza?

Dopo l'ennesimo femminicidio in cui a essere uccisa brutalmente dall'ex fidanzato è stata una ragazza di soli 14 anni, Martina Carbonaro, si è tornati – ancora una volta – a parlare dell'urgenza di un fenomeno su cui famiglie, scuole e società in toto sono chiamati a intervenire. La domanda è chiara: come si educa alla parità di genere, alla cultura del rispetto contro la violenza sulle donne? Quale ruolo deve assumere la scuola per perseguire questo obiettivo? Di questo si è parlato nel panel “Educare alla parità genere” in scena Live In 2025, l'evento di Sky Tg24 che dà spazio all’attualità, alle sfide globali e al racconto del mondo che cambia. Condotto dalla giornalista Monica Peruzzi, il dibattito ha visto protagonisti Giuseppina Torre, pianista e scrittrice, Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi, e Daniela Collu, conduttrice, autrice televisiva e scrittrice. La storia di Giuseppina Torre Tra gli ospiti del panel, la pianista Giuseppina Torre, che di recente ha pubblicato il suo terzo album “The Choice” e un libro dal titolo “Un piano per rinascere”, in cui racconta le violenze subite in una precedente relazione. “Quando ci si è dentro è difficile decodificare determinati segnali anche perché poi diventa routine, diventa abitudine. Io dico sempre che ero abituata a soffrire, e per me la anormalità era diventata la normalità”, ha raccontato a Live In. Per Torre, il momento più delicato per chi vive all'interno di un rapporto violento è “il momento in cui tu decidi di dire basta, il momento in cui devi necessariamente staccarti per vivere, per uscire viva da quella relazione. E quindi il momento in cui poi decidi di denunciare, di porre fine è il momento più delicato di una donna perché rimani sola con te stessa”, ha spiegato. Poi ha sottolineato l'importanza di avere persone care attorno a sé: “Almeno dieci anni fa c'era il codice rosa e non c'era neanche il codice rosso, quindi la donna nel momento in cui denunciava rimane da sola. Io sono rimasta da sola, per fortuna ho avuto una rete di protezione a livello familiare, a livello di amici: è quello che mi ha salvato e mi ha protetto”. Le donne vittime di violenza che denunciano sono “un bersaglio mobile”, sono “in balia di una persona che ovviamente si incattivisce di più perché è stato denunciato. Lì poi ci sono tutti quei possibili scenari che si aprono, che purtroppo conosciamo perché molte donne vengono uccise proprio dopo aver denunciato - ed è questo l'epilogo più tragico - o dopo aver interrotto quella relazione senza neppure arrivare alla denuncia”. Denunciare le violenze Giuseppina Torre racconta di aver trovato la forza di dire “basta” grazie alla musica. Ma, come suggeriscono i dati, denunciare non è mai un processo semplice. “Sì è fatto un investimento emotivo non indifferente. In quel momento crolla tutto quello in cui tu hai creduto per tanti anni: la persona nella quale tu avevi dato la tua vita in mano, quella stessa persona poi è capace di ferirti, di farti del male. A livello emotivo veramente ti senti crollare il mondo addosso. È quello che è successo a me. Ti dai anche la colpa di questo grande fallimento: avere investito a livello di personale, affettivo, di famiglia. In un attimo si sgretola, si sgretola tutto ed ecco che sei davanti al tuo più grande fallimento”, racconta la pianista. Tra gli episodi raccontati dall'autrice nel corso del panel, anche il momento in cui le viene imposto di scegliere tra la carriera e l'essere madre e moglie. “Davanti a questo aut-aut io mi sono trovata spiazzata e non trovavo via d'uscita, perché volevo rimanere nella coppia, non volevo separarmi. Però allo stesso tempo volevo continuare su quella che era la mia strada, quella musicale, la mia strada artistica che aveva comportato e comporta ancora grandissimi sacrifici, perché non è semplice essere artista, soprattutto donna. Io, davanti a questo aut-aut, mi sono sentita talmente spiazzata, disarmata che volevo compiere un gesto drammatico”, ha raccontato. Torre ha poi affrontato anche il tema della violenza economica. “Anche a livello economico mi era stato impedito quasi di lavorare. Potevo fare delle lezioni private, che comunque non mi garantivano una certa indipendenza perché lavorare privatamente - si sa - è sempre un qualcosa di precario. Mi era stato proibito – e l'ho capito dopo – per non darmi la possibilità di potermi sostenere economicamente da sola ed essere indipendente”, ha spiegato la pianista. “Questo è uno dei motivi per cui molte donne non denunciano, perché dopo si trovano senza 'né arte né parte', senza rete di protezione. Io mi sono ritrovata veramente senza un centesimo, mi sono dovuta rimboccare e rimettere di nuovo in gioco dopo quell'anno devastante, perché ero rimasta senza una famiglia, senza nulla, mi era crollato tutto, tutto il mio mondo era venuto a mancare. Mi sono rimessa di nuovo in gioco, mi sono aggrappata a quella che era la mia grande passione, la musica, che per un attimo avevo pure messo in discussione. Pian piano, colpo dopo colpo, sono riuscita a riemergere da una situazione economica disastrosa”, ha aggiunto. Il femminicidio di Martina Carbonaro Martina Carbonaro è stata uccisa a 14 anni, a colpi di pietra, dall'ex fidanzato per aver rifiutato un suo abbraccio. L'ennesimo femminicidio è avvenuto nei confronti di una vittima molto giovane. “Questo è sicuramente un dato molto allarmante perché si sta abbassando l'età in cui si commettono questi femminicidi”, spiega Torre. “Bisognerebbe iniziare sin dalla tenera età ad educare le emozioni, perché un rifiuto a un abbraccio non può essere una giustificazione per uccidere un'altra persona. Il non saper gestire la frustrazione ti porta poi a questi gesti estremi, e questo dato a mio parere è molto allarmante”, ribadisce la pianista. Ricorre troppo spesso il tema della difficoltà ad accettare il rifiuto, il “no”. “Noi possiamo anche fingere che non ci sia una radice comune a tutti questi episodi. Possiamo anche fingere che la parola patriarcato non sia poi la parola giusta da usare. Ma è impossibile che non si arrivi a riconoscere che c'è un problema, ed è un problema maschile perché si parla di violenza maschile sulle donne”, dice Daniela Collu. Si tratta di un problema “di cultura patriarcale del possesso, di cultura patriarcale del controllo sui corpi delle donne, di cultura patriarcale che si riflette nelle relazioni sentimentali, nelle relazioni di potere perché le relazioni sentimentali sono relazioni di potere finché non le puliamo, finché non le rendiamo sane, finché non le rendiamo sacre. Quello che perdiamo è la vita delle persone, la vita delle donne”. La conduttrice e scrittrice ha poi affrontato il tema dell'educazione all'affettività negli istituti scolastici. “Se pensiamo che l'educazione sessuale e affettiva nelle scuole sia ancora identificato come un progetto divisivo da questo governo, io vorrei capire cosa divide, io vorrei capire qual è il punto in cui ci si scontra sull'educazione affettiva e sessuale dei ragazzi di 14 anni, che se non vengono educati dalle scuole non lo saranno dalle famiglie. Perché le famiglie sono abbandonate”, rimarca Collu. Poi aggiunge: “Se non vengono educati dalle scuole, dalle famiglie, dove si andranno ad informare su come funziona la relazione uomo-donna? In tv? Nella pornografia? Nei modelli che abbiamo? Ma chi lo deve insegnare a questi ragazzi come si sta in una coppia in una relazione sentimentale e sessuale? Il ministro Nordio, che dice alle donne: 'Rifugiatevi in farmacia, rifugiatevi in chiesa'? La ministra Roccella che si inventa i dati dicendo che in Svezia nonostante l'educazione sessuale i femminicidi sono aumentati? Il ministro Valditara che dice che fare educazione sessuale e sentimentale nelle scuole può essere una cosa appannaggio dei pro vita? Com'è possibile che in questo Paese tutto diventi propaganda o diventi una barzelletta? Quante sono le donne, ormai bambine o ragazze, che devono perdere la vita per far sì che questo governo e questo Stato si facciano carico di un fenomeno che è sistemico?”. Il caso del “sondaggio” nella chat di classe Durante l'incontro si è parlato anche del caso dello studente di una scuola superiore in provincia di Vicenza che aveva pubblicato nella chat di classe una ripugnante “classifica della violenza”, chiedendo ai compagni in un sondaggio “chi si meritava di più di essere uccisa tra Giulia Tramontano, Mariella Anastasi o Giulia Cecchettin”. “Sono sempre più giovani i ragazzi quando si trovano le chat sui telefoni in cui danno i voti ai corpi delle compagnie di classe, sono sempre più giovani quando si trovano su Telegram questi gruppi da 70 mila followers in cui si scambiano le foto di nudo delle loro sorelle e fidanzatine. Ma dove li andiamo a riacchiappare noi, questi ragazzini?”, si chiede ancora Daniela Collu. Sul tema è intervenuto anche Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione Nazionale Presidi. “Sicuramente abbiamo un problema, che ha a che fare naturalmente con dei rigurgiti di maschilismo, con quello che affonda le radici nella cultura patriarcale. Io vorrei anche che si facesse una riflessione sul fatto che, rispetto a tempi passati, in realtà un'evoluzione c'è stata. Dobbiamo da un lato prendere consapevolezza di quello che c'è da fare, dall'altro però anche capire a che punto siamo noi come società, come riflessione”, afferma Giannelli. “È un dato di fatto che ci sono tanti Paesi al mondo dove questi fenomeni sono molto più gravi, quindi andiamoci piano col colpevolizzarci oltre un certo limite. Noi dobbiamo naturalmente fare di tutto, quando riflettiamo di questi fenomeni dobbiamo farlo in un'ottica globale. Noi abbiamo un problema e dobbiamo combatterlo, e lo stiamo combattendo”, sostiene il presidente. Sulla possibilità di inserire l'educazione all'affettività nel programma scolastico, Giannelli ritiene che “non è parlando qualche ora a scuola di questa tematica che si può evitare che ci siano alcuni assassini, criminali che compiono fatti assolutamente riprovevoli. La scuola in questo ha un ruolo e lo porta avanti, però non possiamo pensare che la scuola possa risolvere da sola questo fenomeno, perché è un fatto culturale che investe un po' tutta la nostra società”. L'educazione all'affettività L'educazione all'affettività dovrebbe quindi essere inserita tra le materie d'obbligo negli istituti scolastici? Secondo Giannelli, “identificarla come materia a sé stante non è appropriato, in quanto è sullo studio della letteratura, della nostra cultura, della società umana che si deve riflettere”. Per il presidente dell'Associazione presidi, “la cultura, quello che si studia deve servire proprio come pretesto per sollevare delle riflessioni. Alla fine si studia per questo, non si studia per imparare a memoria qualcosa che tanto si dimenticherà, si studia per riflettere su dei concetti”. Alla domanda sul perché nelle scuole si faccia così fatica a parlare di sessualità, Giannelli risponde: “Premesso che se ne parla in modo molto diffuso per la verità, molto più diffuso di quanto si possa pensare. Il problema è che ci sono anche molte famiglie, lo dico per esperienza diretta, che su questo hanno delle difficoltà e non vogliono che siano altre persone, altri adulti a insegnare ai loro figli alcuni concetti, a parlare con i loro figli di queste idee. Questo è un dato di fatto”. Per il presidente dell'Associazione dei presidi, si tratta di “un problema culturale e noi dobbiamo fare in modo che tutte le famiglie prendano atto del fatto che questi sono concetti anche delicati che non possono più essere lasciati alla cultura familiare come era un tempo in fondo. Trenta, quaranta, cinquant'anni fa di questi argomenti si parlava solo in famiglia o non se ne parlava affatto. Oggi se ne parla molto di più, quindi da un lato è stato fatto qualche passo avanti, dall'altro non basta perché questi omicidi a cui stiamo assistendo ci dicono che non abbiamo fatto abbastanza, e quindi dobbiamo fare di più, non c'è dubbio”. La responsabilizzazione A chiudere il dibattito è stata Daniela Collu, che ha invitato il pubblico a “dimenticare la parola colpevolizzazione e ad assumere la parola responsabilizzazione”. Nel suo intervento ha poi ribadito: “Nessuno sta dando la colpa in toto alla società. Ogni volta che si parla di femminicidio bisogna fare questa postilla - su cui naturalmente perdiamo tempo ma non c'è problema, ne abbiamo tanto - che 'non tutti gli uomini sono così', che 'naturalmente questi sono assassini efferati', che 'non è una cultura che permea ogni singolo essere umano, ogni singolo essere umano di sesso maschile della società'. Allora io mi chiedo, se non sono colpevoli, dov'è la responsabilità che ci stiamo prendendo per un fenomeno del genere?”. Per Collu, “è molto vero che non dobbiamo colpevolizzarci perché in un'ottica globale è un fenomeno che non è solo italiano, non è soltanto nostro, non è soltanto contemporaneo. Ma è anche vero che noi siamo qua e che lei a un certo punto guarderà in faccia un ragazzino che potrebbe arrivare a compiere il gesto che ha compiuto l'assassino di Martina. Tutti dobbiamo fare questo ragionamento, tutti dobbiamo metterci con la testa, con la coscienza e con l'impegno nella posizione di poter prevenire quell'atto”. Secondo la conduttrice e scrittrice, a chi compie femminicidi “delle conseguenze non gliene può fregar di meno: questa è gente che confessa, che si fa trovare, che lascia tracce. Non siamo di fronte a serial killer che fanno impazzire gli investigatori per dieci anni lasciando misteri dietro di sé. Non gliene può fregar di meno delle conseguenze”. Collu ha poi proseguito il discorso ribadendo che “l'onta, l'umiliazione di un rifiuto per un ragazzino di 17-18 anni è più importante ed è più grave da mandare giù rispetto alla previsione, alla prospettiva di un ergastolo. Se noi non ci mettiamo di fronte a questa questione nell'ottica di un cambiamento è finita, è finita per chi ne ha la colpa, è finita per chi non lo sapeva, è finita per i più buoni, è finita per i più cattivi. Non possiamo fare nient'altro”. Poi ha concluso: “La scuola non basterà? E allora vorrà dire che i centri di antiviolenza dovranno avere tutti i soldi del mondo, vuol dire che tutte le attività extrascolastiche dovranno avere un'attenzione a questo, dallo sport alle attività religiose. Se non basta Manzoni si studierà altro, se non basta Leopardi - perché la donna di Leopardi è la donna-oggetto - si studieranno le letterature femministe che stanno aiutando tantissime donne ad avere la consapevolezza, ed è la stessa consapevolezza che a quegli uomini gli fa andare di matto il cervello”.

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