I piani della destra in Romania dopo le dimissioni di Iohannis

Crisi politica senza fine in Romania, dove a quasi tre mesi dalle nuove elezioni presidenziali il capo di Stato uscente Klaus Iohannis si è dimesso. Ilie Bolojan, presidente del Senato, assumerà l’incarico ad interim fino al voto di maggio. Decisiva, per la caduta del leader di Bucarest, esponente del Partito Nazionale Liberale di centro-destra in carica dal 2014, l’approvazione di una procedura di impeachment nei suoi confronti proposta dai partiti nazionalisti e ultraconservatori. Iohannis era rimasto alla presidenza nonostante il suo mandato fosse scaduto a dicembre, dopo l’annullamento delle presidenziali di novembre scorso, che avevano visto arrivare in testa al primo turno il candidato populista, euroscettico e anti-Nato Calin Georgescu, indipendente di estrema destra. A dicembre la Corte Suprema aveva annullato la tornata elettorale denunciando presunte interferenze russe a favore di Georgescu, arrivato primo contro ogni pronostico, e Iohannis era rimasto al suo posto prevedendo di estendere la sua presidenza iniziata nel 2014 fino alle nuove elezioni previste per il 4 maggio. Il suo obiettivo si è però scontrato contro la veemente protesta degli elettori di Georgescu e dei sovranisti romeni: l’Alleanza per l’Unità della Romania , Sos Romania e il Partito della Gioventù, le tre formazioni di estrema destra forti del 31% complessivo nei suffragi al voto parlamentare di dicembre, hanno sostenuto la causa del candidato populista e avviato una serie di forti proteste di piazza che si sono sommate a una campagna di logoramento in Parlamento. La Bbc ricorda che “la destra ha dichiarato che la proroga del mandato di Iohannis è illegale perché la costituzione prevede che la presidenza possa essere estesa solo in caso di guerra o calamità". Iohannis è finito nel mirino assieme ai partiti che sostengono il primo ministro Marcel Ciolacu, del Partito Socialdemocratico . L'attacco delle destre a Iohannis L’accusa rivolta al presidente dimissionario da parte delle destre pro-Georgescu era chiara: Iohannis, che ha aperto la strada all’annullamento del voto presidenziale declassificando i documenti di intelligence che proverebbero l’ingerenza straniera nelle elezioni di novembre, avrebbe agito dopo la sconfitta del Psd e del Pnl, esclusi dal ballottaggio per la scelta del nuovo capo dello Stato. Inoltre, lo avrebbe fatto per favorire un accordo tra le due formazioni, che oltre a governare assieme sosterranno un candidato comune al nuovo voto. Infine, avrebbe agito spaventato dalle posizioni critiche di Georgescu sugli affari internazionali, come la presenza delle basi Usa in Romania e il sostegno alla resistenza dell’Ucraina, per blindare la dipendenza di Bucarest dall’Unione Europea e dalla Nato. Iohannis si è dimesso anche se aveva la maggioranza Decisivo per le dimissioni di Iohannis è stato l’appoggio alla procedura di messa in stato d’accusa da parte di Elena Lasconi, politica di centro-destra liberale a capo dell’Unione per la Salvezza della Romania , classificatasi seconda e mancata sfidante di Georgescu al ballottaggio presidenziale del 2024. Per Lasconi, ex giornalista con una piattaforma orientata alla lotta alla corruzione, i partiti tradizionali avrebbero defraudato la sua formazione della possibilità di conquistare la presidenza e Iohannis sarebbe responsabile di un attacco alla democrazia romena. L’espansione della pressione politica sul capo di Stato ne ha provocato le dimissioni nonostante questi disponesse, in teoria, dei voti necessari a sopravvivere in Parlamento alla mozione. Il problema politico, per la maggioranza di governo, si è manifestato fuori dai palazzi del potere: i principali sondaggi mostrano che la gran parte della popolazione romena ha maldigerito l’annullamento del voto di novembre e che Georgescu è stato rafforzato dalla cancellazione del ballottaggio con Lasconi e dalla convocazione di nuove elezioni. Georgescu in volo nei sondaggi Forte del sostegno delle tre formazioni di estrema destra, Georgescu è dato nei sondaggi tra il 40 e il 47% nelle intenzioni di voto al primo turno, potenzialmente in grado di doppiare il dato di novembre . Lasconi e l’Usr sono date in calo dal 18 all’8-10%, ma il vero tracollo sarebbe quello del duo Psd-Pnl. Sommati, i due partiti di governo hanno ottenuto il 28% alle presidenziali e il 35% alle parlamentari ma oggi il loro candidato comune, Antonescu è dato tra il 10 e il 14%. Maggio è ancora lontano, ma Iohannis ha chiaramente compreso che proseguire la battaglia sulla sua permanenza alla presidenza lo avrebbe trasformato in un bersaglio, alimentando la già dinamica campagna di Georgescu. Quest’ultimo può celebrare come una vittoria della sua causa la fine della presidenza Iohannis, e da qui a maggio la Romania sarà un Paese sul filo del rasoio in campo politico, in attesa di un voto che i sovranisti e populisti aspettano come un vero e proprio redde rationem.

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