Qatar, Turchia e Arabia Saudita: il triangolo diplomatico al-Jolani

La diplomazia della nuova Siria guidata dal neopresidente ad interim Abu Mohammad al-Jolani prende forma con una serie di incontri di primo piano con i leader della regione. Il triangolo diplomatico di Damasco ha come vertici i Paesi con i quali i confronti sono più strategici per il governo di transizione dello Stato levantino: Qatar, Arabia Saudita e Turchia. E, non a caso, sono proprio l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani, il principe ereditario e primo ministro saudita Mohammad bin Salman e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan i primi leader stranieri con cui al-Jolani si è confrontato. Il ruolo centrale del Qatar nella nuova Siria L’ex comandante ribelle protagonista dell’offensiva con cui il gruppo Hay’at Tahrir al-Sham ha guidato il rovesciamento del regime di Bashar al-Assad vuole presentarsi come un leader politico intenzionato a ricostruire la Siria e a riposizionarla come nazione protagonista delle dinamiche mediorientali. Sul tavolo ci sono la ripresa delle relazioni con i Paesi della regione, in seguito alla riammissione di Damasco nella Lega Araba, la ricostruzione del Paese dopo quasi quattordici anni di guerra civile che hanno lasciato milioni di cittadini sfollati e intere città distrutte, la ricerca di alleanze e sostegno militare per ricostruirne le forze di sicurezza. Chi avrà un ruolo da protagonista sarà, in particolare, il Qatar. Dopo la vittoria contro il regime di Assad, al-Jolani non ha fatto mistero di guardare con un occhio di riguardo a Doha, che ha sostenuto sin dal 2011 le forze ribelli, garantito finanziamenti e copertura politica e ora mira a mettere le mani sulla quota più consistente di appalti per la ricostruzione. In vista di questi obiettivi ora il Qatar sta spingendo per la normalizzazione dell’economia e della società siriane. Le aziende logistiche del Qatar hanno rimesso in sesto l’aeroporto di Damasco, la compagnia nazionale Qatar Airways ha ripreso i voli di linea e secondo rapporti statunitensi è proprio Doha a finanziare le politiche del governo per mantenere in attività la pubblica amministrazione dell’era Assad, garantendo aumenti di stipendio del 400% ai dipendenti. L’emiro al-Thani, non a caso, è stato la scorsa settimana il primo leader straniero a visitare Damasco dopo il cambio di regime e l’ascesa di al-Jolani alla presidenza. Al-Jolani tra Riad e Ankara Al fianco di Doha ci sarà spazio anche per l’Arabia Saudita, partner fondamentale per il futuro della Siria. Al-Jolani ha scelto proprio il Paese del Golfo per la sua prima visita all’estero da presidente, seguendo le orme dei diplomatici e dei ministri di punta del governo di transizione che a inizio gennaio avevano scelto Riad per la loro prima missione fuori dai confini siriani. Per decenni, la Siria è stata l'alleato arabo più stretto dell'Iran in Medio Oriente, mentre le ricche monarchie del Golfo Persico erano impegnate nella competizione con Teheran per il potere e l'influenza nella regione. Il rovesciamento di Bashar al Assad in Siria, di fatto mette all’angolo Teheran mentre rappresenta un'opportunità per gli stati del Golfo di colmare il vuoto e sviluppare legami con il nuovo governo di Damasco. Le due principali potenze del Golfo, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, stanno adottando un approccio cauto, perché Hay’at Tahrir al-Sham è di ispirazione islamista e un tempo era affiliata al gruppo estremista Al Qaeda. La visita di Al Jolani punta a rassicurare i potenziali nuovi alleati che non avranno nulla da temere dal nuovo cordo di Damasco: A fine dicembre, in un’intervista a Al-Arabiya, al-Jolani ha prospettato le “importanti opportunità di investimento” che la Siria offrirà con la ricostruzione, promettendo che il Paese di Mohammad bin Salman “avrà sicuramente un ruolo importante nel futuro della Siria”. Se con il Qatar e l’Arabia Saudita il presidente siriano ha discusso, innanzitutto, questioni economiche e diplomatiche, priorità militari e securitarie sono state al centro del confronto con la Turchia di Erdogan, il cui sistema d’intelligence ha aiutato i ribelli nell’offensiva finale su Damasco. Martedì il presidente turco ha ospitato al-Jolani a Ankara, coronando due mesi di intenso sostegno politico al nuovo regime in cui è stato decisivo il ruolo del ministro degli Esteri Hakan Fidan e del Mit, il servizio di informazione e sicurezza del Paese anatolico. La priorità della Turchia è contenere l’attività delle Forze Democratiche Siriane a guida curda nelle zone di confine. Queste ultime hanno giurato fedeltà al nuovo regime ma chiedono margini crescenti di autonomia e rifiutano l’invito alla smobilitazione fatto dal governo di al-Jolani verso tutti i gruppi armati attivi nella guerra civile. La Siria e le cambiali da pagare Erdogan ha paragonato le Sdf all’Isis come minaccia al futuro della Siria e in una dichiarazione seguita al bilaterale con al-Jolani, da lui definito “un fratello” ha dichiarato: “ siamo pronti a fornire il supporto necessario alla Siria nella lotta contro ogni tipo di terrorismo”, indicando sotto questa definizione tanto l’attività di Daesh quanto quella delle forze curde. Il ministro degli esteri di Damasco Asaad al-Shaibani ha detto che il Paese non permetterà che le aree curde siano usate come base per una minaccia contro la Turchia. La Siria di al-Jolani potrebbe dunque essere presto chiamata a delle scelte: aprire il Paese agli investimenti stranieri per la ricostruzione da un lato, venire a patti con le ambizioni geopolitiche dei suoi patroni dall’altro. Se il Qatar e l’Arabia Saudita chiedessero spazi privilegiati nell’economia siriana di domani o la Turchia spingesse per un’azione militare nel Rojava curdo difficilmente il nuovo governo potrebbe opporsi. I patroni tradizionali sono declinati in Siria, ma il Paese resta sempre oggetto, prima ancora che soggetto delle dinamiche internazionali. Compito del governo di al-Jolani sarà riportare la Siria alla normalità prendendo atto di questa dinamica inevitabile dopo anni di lutti e ingerenze straniere.

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