Argentina, Milei doma inflazione e deficit ma la povertà resta alta

Javier Mieli ha superato a dicembre il primo anno di governo in Argentina e la sua agenda politica orientata a un massiccio taglio della spesa pubblica, al contenimento del deficit e alla riduzione dell’inflazione è in piena applicazione. Il presidente argentino, divenuto un’icona della destra libertaria e conservatrice negli Usa e in Europa, rivendica risultati positivi nella stabilizzazione dell’economia e rilancia da tempo sottolineando che la fase di austerità e rigore servirà in futuro ad attrarre investimenti stranieri e stimolare la crescita. I suoi oppositori criticano invece il persistere di alti tassi di povertà e il fatto che a pagare i costi della normalizzazione siano le fasce più svantaggiate della popolazione. Un giudizio definitivo sulle politiche di Milei ad oggi sarebbe ancora prematuro. Sul fronte del contenimento delle problematiche economiche del Paese, non c’è dubbio che il leader della coalizione La Libertà Avanza abbia imposto con l’uso di tutti i suoi poteri esecutivi l’applicazione concreta della sua agenda sottolineando che, nell’interpretazione del governo, la lotta a inflazione e deficit dovessero avere priorità assoluta. Come sta andando l'economia argentina con Milei Milei ha rivendicato di aver tagliato di circa il 90% la corsa dei prezzi. L'inflazione era al 25,5% su base mensile al momento del suo insediamento e si è assestata al 2,7% a fine 2024, mentre Buenos Aires ha registrato il primo avanzo di bilancio, necessario per fermare la corsa del debito pubblico, in 14 anni. Nell’ultimo trimestre del 2024 l’Argentina è uscita dalla recessione e nel 2025 si prevede una crescita del Pil superiore al 3% per il Paese sudamericano che vive una fase di contrazione economica dal 2021. Le agenzie di rating hanno migliorato il loro giudizio sull’Argentina: “L’energico cambiamento delle politiche fiscali e monetarie, la stabilizzazione delle finanze esterne e l’adozione di riforme orientate al mercato hanno rafforzato la fiducia del settore privato nazionale e riacceso il dinamismo del credito e dei mercati finanziari nazionali”, ha dichiarato Moody’s in un report dedicato al Paese latinoamericano. Guardando però ai costi sociali ed economici dell’agenda Milei, non si può non sottolineare come le scelte del presidente abbiano diviso il Paese e avuto ricadute in termini di efficienza dell’apparato pubblico e sostenibilità dello Stato sociale. In Argentina i tassi di povertà sono balzati al 53% dal 42% alla fine del 2023 , secondo uno studio dell’Università Cattolica dell’Argentina, e molti settori che hanno avuto storicamente un impatto sull’economia si sono contratti nettamente. L’Economist nota ad esempio un crollo di un terzo del contributo al Pil del settore delle costruzioni, conseguenza di uno stop a molti progetti infrastrutturali e della privatizzazione di molte compagnie pubbliche, e un netto calo dei consumi privati, scesi del 20% a causa del crollo del potere d’acquisto della popolazione. L'agenda Milei per la crescita dell'Argentina La prospettiva che si apre dunque è quella di vedere una crescita trainata dall’export andare di pari passo a un aumento delle situazioni di povertà, disagio e esclusione sociale in un Paese già più volte colpito da fallimenti, crisi sociali e spaccature interne dall’inizio del secolo. Del resto, la scommessa esplicita di Milei è orientata a sostenere la crescita del Paese col traino degli investimenti internazionali, valorizzando Buenos Aires davanti ai mercati e ripagando i prestiti col Fondo Monetario Internazionale, smantellando tutto quello che viene ritenuto un peso morto, a partire dal welfare. Calcolo i cui costi sono certi, mentre i risultati tutti da dimostrare. Certamente però va registrata un’ambizione notevole del presidente, che parla di voler fare dell’Argentina una potenza delle nuove tecnologie, a partire dal nucleare di ultima generazione e dall’intelligenza artificiale, attirando capitali dall’estero. Il capo dell'agenzia nucleare argentina Demian Reidel ha annunciato la volontà di fare della Patagonia un laboratorio per installare data center da alimentare con centrali nucleari moderne fondate su piccoli reattori modulari e spostabili alimentati con l'uranio estratto nel Paese e su cui Milei ha messo da tempo gli occhi. Tutto questo, da qui al 2030, dovrebbe apparire come la politica-manifesto con cui l’Argentina segnalerebbe il suo ritorno nell’economia globale come Paese attivo e meritevole di investimenti. Secondo Milei smantellare lo Stato, sacrificarne i programmi sull’altare del rigore fiscale e dei prezzi, dimenticare la tradizione peronista di generoso aumento del welfare dovrà essere la necessaria premessa per realizzare programmi del genere. Per i suoi avversari, si tratta di specchietti per le allodole per coprire scelte economiche fallimentari. Quel che è certo è che le attenzioni del mondo per il modello Milei non sono destinate a calare, specie ora che con l’ascesa di Donald Trump alla Casa Bianca il vento politico, almeno nelle Americhe, soffia a favore della destra conservatrice e libertaria, chiamata ora a mantenere ciò che ha promesso negli anni scorsi.

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