Slovacchia, Fico in bilico mentre il Paese protesta

Sono giorni difficili per Robert Fico, il primo ministro slovacco tornato al potere nell’ottobre 2023, il cui governo euroscettico e filorusso è oggetto di contestazioni di piazza crescenti. Dopo l’incontro con Vladimir Putin del 22 dicembre scorso, in cui il primo ministro socialdemocratico di Bratislava si è offerto come mediatore tra Mosca e Kiev, una serie di proteste hanno portato i cittadini delle maggiori città del Paese in piazza contro l’agenda del capo di governo. Circa 3mila persone il 23 dicembre, oltre 4mila il 3 gennaio, 15mila il 10: nelle prime manifestazioni organizzate dall’associazione Pace per l’Ucraina che sostiene l’appoggio a Kiev l'affluenza di coloro che si sono radunati in Piazza della Città Vecchia a Bratislava è stata relativamente contenuta. Ma venerdì 24 gennaio nella capitale oltre 60mila persone sono scese in strada per protestare contro il leader di Direzione - Socialdemocrazia e il suo governo che allea populisti di sinistra e destra in nome di un'agenda critica delle politiche di Bruxelles e della Nato. La seconda manifestazione più ampia è stata quella di Kosice, dove sono scese in piazza 15mila persone. In totale, si stima che nel Paese un totale di 130mila manifestanti abbia espresso la sua contrarietà all’agenda di governo di Fico. La saldatura tra le varie forze d'opposizione, dal centrodestra di Libertà e Solidarietà a Slovacchia Progressista, formazione di centrosinistra che contesta le derive sovraniste e populiste di Fico, passando per il Movimento Cristiano-Democratico ha dato un chiaro tono politico alle manifestazioni. La richiesta delle dimissioni di Fico espressa dai manifestanti ha trovato la ferma opposizione del primo ministro, che ha denunciato la presunta volontà dell’opposizione di rovesciare il governo col sostegno di non meglio precisate ‘forze esterne’ che mirano a distruggere la Slovacchia. Fico sotto assedio usa l'arma del complotto La retorica del primo ministro ricorda molto quella di Sogno Georgiano, il partito al potere a Tbilisi, nella vicina Georgia, che denuncia l’esistenza di un presunto “partito della guerra globale” volto a sabotare i governi favorevoli al dialogo con Mosca. Per certificare l’esistenza del complotto, Fico ha citato una presunta informativa del Servizio d’Intelligence Slovacco che svelerebbe la volontà dell’opposizione di creare una “Maidan” a Bratislava, un riferimento alla rivolta ucraina del 2013. Le forze che si oppongono al primo ministro denunciano la collusione dei servizi col potere centrale: Pavlov Gaspar, nominato da Fico alla guida del Sis, è figlio di un importante membro del partito del premier, Tibor Gaspar, di cui è ritenuto uno stretto alleato e consulente. Le opposizioni non demordono e hanno convocato per il 7 febbraio un’altra grande manifestazione contro il governo. Nel frattempo, Fico è pressato anche sul fronte parlamentare. Il suo governo ha di fatto perso la maggioranza in Parlamento dopo che il suo alleato di sinistra, Hlas, ha cacciato quattro deputati per non aver seguito le direttive di partito in diversi voti-chiave e essersi opposti alle manovre economiche del governo. Tra le mosse che i deputati ribelli contestavano c’era l’aumento generalizzato delle imposte volto a prevenire una crisi di bilancio dopo la fine delle forniture di gas russo via tubo alla Slovacchia che ha lasciato Bratislava senza rifornimenti energetici a basso prezzo. La dipendenza energetica dalla Russia era uno dei motivi che spingeva Fico a criticare il sostegno occidentale all’Ucraina, e dopo che Kiev ha bloccato le forniture passanti sul suo territorio il primo ministro ha più volte minacciato ritorsioni, trovandosi però costretto a tamponare il rischio di una crisi economica sul fronte interno. Pressioni su Fico I quattro deputati ribelli hanno annunciato che non voteranno più i futuri provvedimenti del governo, senza però lasciar intendere di voler passare all’opposizione, decisione che porrebbe fine all’esecutivo. D’ora in poi ogni azione legislativa dell’esecutivo del primo ministro più longevo della storia slovacca sarà dunque condizionata da una crescente precarietà. Fico si troverà a dover governare una Slovacchia che ribolle per le problematiche economiche e sociali e che negli ultimi quindici mesi si sono amplificate, cui si aggiunge la spaccatura politica creata dall’apertura di Bratislava alla Russia. La speranza del primo ministro che solo un mese fa si proponeva come mediatore è quindi quella di una pronta conclusione del conflitto ucraino che lo alleggerirebbe dalle pressioni interne. Ma il pallino è in mano altrui: Putin, Volodymyr Zelensky, il presidente Usa Donald Trump. La Slovacchia potrà agire solo in qualità di paese membro dell’Ue e al suo primo ministro non resta che sperare di non logorarsi prima tra fronde nella maggioranza e un’ondata crescente di proteste che difficilmente potrà continuare ad ignorare.

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