Il tycoon ipotizza coercizione economica, annessioni e persino l’uso della forza contro alcuni Stati chiave per un suo eventuale disegno di mire espansionistiche. Senza sorprese, tutti chiudono categoricamente alla possibilità di cedere anche una minima parte della loro sovranità a Washington
Panama, Canada, Groenlandia, Messico. Sono gli Stati contro cui Donald Trump si è scagliato nel suo primo discorso da presidente ufficialmente eletto. Minacciando coercizione economica, annessioni e persino l’uso della forza. Non sorprende che a nessuno dei diretti interessati sia piaciuto quanto detto dal tycoon: la sua seconda presidenza, la 47esima per gli Stati Uniti d’America, che inizierà il prossimo 20 gennaio, debutta con forti malumori sul piano internazionale. L'annessione Usa della Groenlandia evocata da Trump "non si produrrà", ha frenato da Parigi il segretario di Stato Usa uscente Antony Blinken.
Dazi e “forza economica” contro il Canada
Dopo aver già ventilato (più di una volta) la possibilità che il Canada diventi “il 51esimo Stato”, Trump ha minacciato di usare la "forza economica" contro Ottawa. I piani di attacco per il futuro sono quindi quelli di un braccio di ferro commerciale, con lo spettro di nuovi dazi. "Non abbiamo bisogno dei loro prodotti e abbiamo un deficit commerciale enorme con loro, così come con l'Europa. Potremmo liberarci di quella linea di confine costruita artificialmente e sarebbe anche molto meglio per la sicurezza nazionale", ha sottolineato Trump. Poi, sul suo social Truth, ha condiviso una nuova mappa degli Stati Uniti, che incorpora il Canada come suo territorio. In un altro post l'immagine dei due Paesi ricoperti dalla bandiera americana a stelle e strisce.
Canada: "Non ci arrenderemo mai di fronte alle minacce"
Non si è fatta attendere la risposta. "Mai e poi mai il Canada farà parte degli Stati Uniti", taglia corto il premier dimissionario Justin Trudeau. La ministra degli Esteri Melanie Jolie è più specifica: "Le dichiarazioni del presidente eletto Trump dimostrano una totale incomprensione di ciò che rende il Canada un paese forte. Non ci arrenderemo mai di fronte alle minacce".
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Trump: “Non escludo uso forza militare contro Panama e Groenlandia”
Poi ci sono Panama e Groenlandia. Verso la prima, il tycoon insiste con l'idea che gli Stati Uniti dovrebbero riprendere il controllo del canale di Panama e si spinge a parlare di "trattative” in corso “con loro", senza entrare nei dettagli. Verso la seconda immagina un’annessione. Verso entrambe non esclude l’uso della forza. “Non posso dare assicurazioni su nessuna delle due questione", ha detto il tycoon quando un giornalista gli ha chiesto se avrebbe escluso "l'uso della forza militare o la coercizione economica" verso Panama-Groenlandia. "Posso dire questo: ne abbiamo bisogno per la sicurezza economica. Il Canale di Panama è stato costruito per i nostri militari. Non ho intenzione di impegnarmi su questo adesso… potrebbe darsi che dovrò fare qualcosa", ha aggiunto.
Panama: “Sovranità non negoziabile”
Il presidente di Panama José Raúl Mulino è chiarissimo: la sovranità del Canale di Panama "non è negoziabile”. Il suo ministro degli Esteri, Javier Martinez-Acha, precisa poi che "le opinioni di oggi del signor Trump, secondo cui avrebbe discusso di una somma di denaro, non sono vere e non è arrivato alcun tipo di offerta a questo governo e sia chiaro: il Canale appartiene ai panamensi e continuerà ad essere così". La conquista del canale di Panama, conclude, “è irreversibile”.
"La Groenlandia non è in vendita"
Già prima del suo ultimo discorso Trump aveva menzionato la Groenlandia – che fa parte del territorio della Danimarca - come un possibile Stato da annettere agli Usa. “La Groenlandia appartiene ai groenlandesi e non è in vendita", aveva detto la premier danese Mette Frederiksen. Nelle scorse ore Lars Lokke Rasmussen, ministro degli Esteri di Copenaghen, ha aggiunto: la Danimarca è "aperta al dialogo" con gli Stati Uniti sulla cooperazione nell'Artico e la salvaguardia degli interessi americani nella regione. "Non credo si tratti di una crisi di politica estera," ha spiegato il ministro, sottolineando che la Danimarca "cerca collaborazione, non attriti" con Washington. "Il Regno di Danimarca - ha aggiunto - è aperto a un dialogo con gli americani su come possiamo cooperare, possibilmente in modo ancora più stretto di quanto già facciamo".
Le reazioni
Dopo il discorso di Trump, non sono mancate anche le reazioni di altri Stati. Per la Germania "fa fede la Carta delle Nazioni unite" e il principio secondo il quale "le frontiere non possono essere modificate con la violenza", ha detto il portavoce del governo tedesco Steffen Hebestreit, rispondendo a Berlino a una domanda sulle affermazioni di Trump sulla Groenlandia e su Panama. Alla domanda se Berlino prenda sul serio queste esternazioni, Hebestreit ha aggiunto: "Non abbiamo intenzione di giudicarle, ne abbiamo preso atto". La portavoce del governo francese Sophie Primas, invece, ha denunciato "una forma di imperialismo”. "Ora più che mai - ha detto al termine del Consiglio dei ministri - dobbiamo, insieme con i nostri partner europei, essere coscienti, uscire da una forma di ingenuità, premunirsi, riarmarci". "Non entriamo nello specifico delle dichiarazioni" di Trump, “è chiaro che la sovranità degli Stati deve essere rispettata, e questo vale anche per il Regno di Danimarca", ha detto una portavoce della Commissione Ue. "Noi vogliamo lavorare a una forte agenda transatlantica", focalizzata "su una forte cooperazione su comuni interessi strategici", ha aggiunto. "Abbiamo a che fare con un'amministrazione americana per volta. E la questione riguardo sovranità e integrità territoriale è ampiamente trattata nella Carta Onu che tutti gli Stati membri hanno firmato", è stato il commento del portavoce del Palazzo di Vetro, Stephane Dujarric.
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La questione del golfo del Messico
Sul fronte Messico, Trump ha annunciato la sua intenzione di cambiare il nome al golfo del Messico: "Lo chiameremo golfo d'America, che bel nome!". Forte la reazione del ministro dell'Economia Marcelo Ebrard, che ha negato che le affermazioni sulla modifica del nome possano diventare realtà e ha assicurato che "tra 30 anni si chiamerà ancora come oggi". Secondo il ministro, con l'arrivo del prossimo presidente degli Stati Uniti non ci saranno sorprese, perché il governo messicano ha preparato da mesi una strategia per affrontare i possibili scenari. "Useremo sangue freddo, intelligenza e saggezza messicana", ha detto, sottolineando che per ora le dichiarazioni di Trump provocano perplessità, ma una volta che diventerà presidente, il 20 gennaio, ci saranno più certezze su ciò che realmente succederà.