Il primo emendamento, TikTok e un presidente influencer

Il presidente eletto Donald Trump ha salvato 170 milioni di americani. Anzi, per dirla nel modo più diretto possibile, evitando equivoci e strumentalizzazioni di sorta, ha già messo al riparto dalla imminente chiusura i 170 milioni di account degli utenti statunitensi iscritti a TikTok. Tant’è che sia Shou Zi Chew, amministratore delegato di TikTok, che Liang Rubo, che riveste la stessa carica in Bytedance società che detiene la proprietà della piattaforma, hanno tirato un gran sospiro di sollievo. Certo, manca ancora l’ufficializzazione da parte della Suprema Corte Federale, ma la memoria amicus curiae inviata ai giudici federali lo scorso 27 dicembre, non solo apre un portone alla sopravvivenza del social, ma di fatto neutralizza anche il termine del 19 gennaio 2025 entro il quale TikTok avrebbe dovuto trovare un qualsiasi acquirente americano. Adesso, però, più che ricostruire la scansione cronologica dei fatti innescati con l’approvazione della Legge sulla protezione degli americani dalle applicazioni controllate dagli avversari stranieri, approvata a marzo dello scorso anno, è interessante isolare gli elementi principali elencati nella memoria depositata a fine dicembre. Il primo tassello che ha spinto il presidente Trump a chiedere alla Suprema Corte di procrastinare eventuali deliberazioni rinvia direttamente a una possibile violazione del Primo Emendamento, pietra angolare della democrazia americana: “questo caso – si legge nel testo depositato 24-656, 24-657 – presenta una tensione senza precedenti, nuova e difficile, da un lato tra i diritti della libertà di parola e le preoccupazioni di politica estera e di sicurezza nazionale dall'altro , con la sua storica vittoria del 5 novembre 2024, il presidente Trump ha ricevuto un potente mandato elettorale dagli elettori americani per proteggere i diritti di libertà di parola di tutti gli americani, compresi i 170 milioni di americani che usano TikTok”. In verità, già in passato i giudici federali in diverse sentenze hanno avuto occasione di precisare come “gli utenti di Internet che postano o commentano sui social media hanno il diritto del Primo Emendamento”, ma è la prima volta in assoluto che questo connubio viene richiamato da un presidente che è al contempo “uno degli utenti più potenti, prolifici e influenti dei social media della storia”. E qui balza fuori il secondo elemento di novità di questa vicenda: Trump si presenta come esperto e profondo conoscitore della materia. “Coerentemente con la sua presenza imponente in questo settore, il presidente Trump ha attualmente 14,7 milioni di follower su TikTok con i quali comunica attivamente, il che gli consente di valutare l'importanza di TikTok come mezzo unico per la libertà di espressione, compresi i discorsi politici fondamentali”. Inoltre – si legge sempre nella memoria amicus curiae - il presidente Trump è il fondatore di un'altra piattaforma di social media di grande successo, Truth Social. Questo gli dà una prospettiva approfondita sullo straordinario potere del governo federale di chiudere efficacemente una piattaforma di social media preferita da decine di milioni di americani alla luce di questi interessi, tra cui, soprattutto, la sua responsabilità generale per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti, il presidente Trump non prende posizione nel merito della controversia, ma si oppone al divieto di TikTok negli Stati Uniti in questo frangente” perchè possiede la capacità politica e personale di negoziare una risoluzione “attraverso i mezzi politici una volta entrato in carica”. Del resto, come non ricordare il post pubblicato sull’account Truth il 4 settembre del 2024: “per tutti coloro che vogliono salvare TikTok in America, votate Trump”. Infine, c’è il terzo elemento, mettere al riparo la Corte da decisioni affrettate, che si salda ai primi due, la salvaguardia del Primo Emendamento e un Presidente celebrity leader: “una tale risoluzione – la rinuncia temporanea a deliberare - eviterebbe la necessità per la Corte di decidere su questioni estremamente difficili secondo l'attuale calendario altamente accelerato e fornirebbe all'amministrazione entrante del presidente Trump l'opportunità di perseguire una risoluzione negoziata del conflitto”.

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