Netanyahu alla sbarra: il destino del premier tra guerre e processi

Benjamin Netanyahu è comparso per la prima volta alla sbarra, ma la sua testimonianza nel processo che lo vede imputato per corruzione sarà lunga. Sono tre i filoni di inchiesta in cui Netanyahu è coinvolto. Il cosiddetto "Caso 1000" riguarda l'accusa di frode e abuso d'ufficio per aver ricevuto regali dal valore di oltre 200mila dollari, comprese casse di vini francesi, sigari e inviti a cene di lusso, ad opera del milionario Aron Milchan, operante nel mondo del cinema, per compensare favori alla sua attività aziendale. Nel "Caso 2000" il premier israeliano è invece incriminato per abuso d'ufficio per un accordo con Arnon Mozes, proprietario del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, per ottenere una copertura mediatica positiva in cambio di riforme normative volte a sfavorire testate rivali. Nel "Caso 4000", infine, Netanyahu affronta accuse di corruzione per aver concesso alla società di tlc Bezeq Telecom Israel contributi economici pubblici per oltre mezzo miliardo di dollari in cambio del sostegno dei media alla figura del primo ministro e della moglie Sara. A otto anni dall’inizio delle inchieste e a quattro da quando il procedimento giudiziario è cominciato, Netanyahu per la prima volta ha espresso in aula la sua versione dei fatti. L’unico precedente risaliva a tre anni fa, quando Netanyahu fece un breve passaggio in aula per definirsi non colpevole. Netanyahu in tribunale va all'attacco Il capo di governo si è presentato come una vittima, un leader perseguitato da accuse ingiuste e politicamente motivate ma che, se confermate, potrebbero costargli fino a 10 anni di carcere. Più che rispondere nel merito, Netanyahu ha rivendicato il suo lavoro alla guida dello Stato Ebraico in nome di sviluppo e sicurezza, definendo il processo come un intralcio alla sua gestione di un Paese in guerra: "Ho lavorato per rafforzare la sicurezza di Israele, per rafforzare l'economia, per trasformarla in un libero mercato", ha detto ai giudici. "È a questo che ho dedicato la mia vita, opponendomi alle pressioni in patria e all'estero", ha aggiunto. Affermando di aver atteso otto anni per esprimere la sua versione dei fatti, Netanyahu ha taciuto che i suoi stessi legali abbiano per oltre un anno brigato per evitare una sua deposizione. E ancora il 4 dicembre Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze israeliano, aveva proposto di far slittare ulteriormente la deposizione a causa degli eventi in corso in Siria. Vista l’ampiezza delle accuse e la mole di testimoni, oltre 120, sentiti dalla corte per suffragare l’impianto processuale, Netanyahu dovrà rispondere ai giudici ancora a lungo. Un lungo processo “Nelle prossime settimane, Netanyahu dovrà testimoniare ogni lunedì, martedì e mercoledì dalle 10 alle 16, con sedute in tribunale programmate fino alla fine di dicembre”, riporta il Times of Israel. Una vera e propria maratona processuale, che sta già dividendo l’opinione pubblica israeliana. Nel Paese, infatti, l’unità post attentati del 7 ottobre 2023 si è frammentata contro le critiche al premier sulla gestione della crisi a Gaza e per il mancato rimpatrio degli ostaggi. Da quando è stato incriminato, Netanyahu è riuscito a restare a galla. Ma intorno a lui è successo di tutto: nel giugno 2021, la caduta del suo quinto gabinetto dopo dodici anni consecutivi di governo; la fine della leadership del premier del Likud, che sembrava l’inizio del tramonto dell’era politica da lui dominata, è stata però seguita dalla rapida implosione della coalizione composita che sosteneva Yair Lapid e Naftali Bennett. A fine 2022, dopo il voto anticipato, Netanyahu ha formato una coalizione nettamente orientata a destra, tornando al potere con un obiettivo: riformare la giustizia per renderla governabile dal sistema politico, proposta che ha scatenato violente proteste. Il resto, con gli attentati di Hamas del 7 ottobre 2023 e la conseguente guerra, è storia recente. Processi e guerre, i destini incrociati di Netanyahu Il conflitto ha garantito una pausa nella vicenda giudiziaria di Netanyahu. Ma ora per il primo ministro i nodi sembrano arrivare al pettine: cercherà di sfruttare anche le accuse della Corte dell’Aja per crimini di guerra, oltre a quelle che gli muovono i magistrati in patria per serrare i ranghi della sua maggioranza? Sfrutterà il suo ruolo di comandante in capo di un Paese in guerra per evadere dalla morsa della giustizia? O alla lunga l’insieme tra le pressioni interne e quelle provenienti da fuori Israele condizioneranno la marcia del suo esecutivo? La risposta a questi interrogativi arriverà oltre che dalle dinamiche giudiziarie anche dalle evoluzioni dello scenario mediorientale, in cui Israele è attivo su ogni fronte. La saldatura tra le politiche di Israele e le questioni personali del premier ha già alimentato accuse di conflitti d’interesse legati alla volontà del premier di restare in sella ed evitare le conseguenze politiche e giudiziarie di un’eventuale condanna.