Perché la vendita dell'Observer alla startup Tortoise fa tanto discutere

I giornalisti del Guardian sono sul piede di guerra, ma l’aver indetto uno sciopero di 48 ore – cosa che non accadeva da cinquant’anni - non ha sortito l’effetto sperato. Secondo un accordo di principio appena raggiunto, il più antico giornale domenicale del mondo, The Observer, verrà venduto dalla proprietà – lo Scott Trust - alla start up Tortoise Media. La testata, pubblicata per la prima volta il 4 dicembre 1791, finirà nelle mani dell’azienda di media digitali creata nel 2019 da James Harding, in passato giornalista di punta della BBC e direttore del Times e dall’ex ambasciatore statunitense nel Regno Unito Matthew Barzun, nominato ai tempi di Barack Obama. L’investimento concordato è di 25 milioni di sterline . Lo Scott Trust diventerà uno dei principali azionisti e avrà anche un posto nel consiglio di amministrazione di Tortoise Media. Non accadeva del 1993 che l’Observer cambiasse proprietà. E se il malumore serpeggia tra i giornalisti di uno dei quotidiani più importanti del Regno Unito, grande entusiasmo è stato espresso da Harding. “Siamo onorati ed entusiasti all'idea di lavorare insieme per rinnovare The Observer, un nome che rappresenta il meglio del giornalismo liberale e pionieristico”, le sue parole, seguite dalla promessa di fare “tutto il possibile per essere all'altezza della sua storia e per darle una nuova vita come voce potente e progressista nel mondo". Ole Jacob Sunde, presidente dello Scott Trust, ha provato a rispondere alle critiche facendo capire di ritenere l’acquirente solido da un punto di vista finanziario, disposto a ragionare sul lungo periodo e rispettoso dell’indipendenza editoriale. Non la pensa così la redazione, che starebbe valutando nuovi scioperi nelle prossime settimane, nonostante le garanzie – non giudicate sufficienti - che non verranno effettuati tagli al personale. Tortoise ha promesso di unire l'Observer ai suoi podcast, alle newsletter e agli eventi live di Tortoise e di investire per trasformarlo in un marchio digitale autonomo. Ma nonostante il profluvio di dichiarazioni rassicuranti e buoni intenti, i giornalisti del Guardian continuano a ritenerla una vendita sbagliata, nei termini e nelle modalità. Tortoise Media non è mai stata redditizia e ha registrato significative perdite operative negli ultimi anni. I giornalisti sono scettici sulla sua capacità di garantire un futuro stabile per il giornale. Inoltre, l'accordo è stato negoziato in modo esclusivo senza un processo trasparente che coinvolgesse altri possibili acquirenti, generando un senso di esclusione tra i giornalisti e gli stakeholder. Infine, il tanto decantato rinnovamento passerà anche dal pagamento, tramite paywall, dei contenuti online dell'Observer, ora consultabili gratuitamente insieme a quelli del Guardian. Ma d’altronde, il modello di business del quotidiano nella sua versione online, che si basa puramente sulle donazioni volontarie, non sembra più in grado di reggere. Più in generale i bilanci non sono buoni: i ricavi sono calati del 2,5% per «un rallentamento del mercato pubblicitario e maggiori costi strutturali di stampa» e i ricavi pubblicitari diminuiti del 13%. La decisione di mettere in vendita l’Observer era stata annunciata lo scorso settembre dal Guardian Media Group. A ottobre i membri della National Union of Journalists, il sindacato dei giornalisti britannici, avevano approvato una mozione in cui si affermava che la cessione dell’Observer sarebbe stata considerata un «tradimento» dell'impegno dello Scott Trust nei confronti della testata. Per Anna Bateson, amministratore delegato del Gmg, l’accordo sulla vendita rappresenta però “l’unica strategia possibile per salvare il giornale”. Qualsiasi alternativa sarebbe stata, a suo dire, “decisamente peggiore”.

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