Elezioni in Russia, si chiudono le urne con il fantasma delle code di protesta anti-Putin

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Gianluca Ales

Gianluca Ales

Terza e ultima giornata elettorale in cui la scommessa era capire se e quanti avrebbero raccolto l’invito di Navalny: mettersi in fila in silenzio davanti ai seggi per manifestare contro il presidente che punta alla rielezione con l’85% dei consensi. Il diario da Mosca del nostro inviato

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Il seggio vicino alla via Tverskaya non è il più adatto per inscenare qualsiasi protesta.

E infatti l’unico gruppo di persone che a mezzogiorno si affolla di fronte alla scuola che ospita le operazioni elettorali, a ridosso di un palazzo dell’esercito, è un gruppo di turisti russi con tanto di guida che descrive al microfono i luoghi storici che stanno attraversando. L’ingresso della stradina è presidiato massicciamente: quattro vetture della polizia e un’autoblindo sono parcheggiati lì di fronte, i militari camminano controllando con aria attenta nei dintorni. (ELEZIONI IN RUSSIA, IL LIVEBLOG)

 

Una calma apparente?

Ore 12.00. A vederlo dal centro della città, sembra che il “Mezzogiorno contro Putin”, organizzato da Iulia Navalnaya e Maksim Reznik, sia stato un totale fallimento.

Per le vie si vedono solo famiglie e ragazzi che si godono una classica fredda domenica moscovita. Lo shopping, lo “struscio”, le passeggiate tra amici. I bar e i ristoranti pieni.

Il punto, però, è che Mosca è una megalopoli di 14 milioni di abitanti, e la protesta è stata indetta in tutta la Federazione Russa. In entrambi i casi, un territorio immenso.

Quindi, la prima impressione può essere erronea.

Anche perché inscenare una protesta a due passi dal Cremlino, mentre fervono i lavori e le prove per la grande manifestazione per il “ritorno” della Crimea, non è una prova di coraggio. È follia.

Inoltre, ai giornalisti con accredito ufficiale è interdetto l’ingresso nei seggi, per evitare di “influenzare il voto”, quindi le iniziative non possono essere documentate da nessuna fonte ufficiale.

Se non altro, bisogna attendere per avere notizie.

 

Le prime conferme

Ore 12.30. Inizia lo stillicidio di immagini. Prima una foto – nel sud est della Capitale – poi i primi filmati da San Pietroburgo, e dopo ancora da Novosibirsk, infine da Ekaterinburg. Poi cominciano ad arrivare le conferme di altre file nella capitale: lungo la via Arbat, vicino al ministero degli Esteri. E poi al museo del Gulag, a nord del centro.

È lì che, dai filmati, si è raccolta una buona parte dei manifestanti moscoviti. Andiamo a vedere se è rimasta traccia della protesta.

Il palazzone di mattoni rossi dove si ricordano le purghe staliniane sembra voler confermare la generale impressione di desolazione del luogo.

È circondato da massicci condomini di cemento armato, i cumuli di neve ghiacciata, ingrigiti dallo sporco, sono ancora alti, ai lati del marciapiede. Il parco giochi abbandonato è una macchia di colore stridente contro la calotta di piombo del cielo.

Soprattutto, la strada è vuota.

All’ingresso i militari sono gentili: si informano se possiamo riprendere il palazzo ma no, non è possibile, su questo non transigono, ma possiamo stare nei paraggi, basta non mostrare la struttura. Nel frattempo, è costante l’andirivieni di votanti che regalano sguardi incuriositi alla troupe straniera, prima di proseguire diligenti a votare.

La stima impossibile

Ore 14.00. Se le prime apparenze sembravano indicare il fallimento del “mezzogiorno contro Putin”, continuano a giungere le notizie di altre manifestazioni. Tanto che Leonid Volkov, ex braccio destro di Navalny ora rifugiato in Lituania, si spinge a parlare di “centinaia di migliaia di persone” e di “file interminabili” di fronte ai seggi. Impossibile confermare queste dichiarazioni, ma un fatto è incontestabile: per quanto difficili da intercettare, le proteste ci sono state. E non sono state poche.

Capire quale sia la reale dimensione del dissenso, però, è molto più complicato.

 

Il consenso per Putin

Ore 18.30. Ce lo conferma la conversazione casuale con una coppia di ragazzi all’interno di un caffè. Anche loro, incuriositi dalla telecamera, ci chiedono perché siamo lì. E alla nostra spiegazione sembrano perplessi: cercate i dissidenti? Sì, forse. Può anche essere che ci siano, dicono. Però in Occidente descrivete una realtà che non esiste: Putin è amato, noi lo abbiamo votato, come tanti altri concittadini. La gente che sta andando a votare metterà la preferenza per lui: se non tutti, la stragrande maggioranza.

Questo è quel che dichiara il Cremlino.

D’altronde la scommessa era portare alle urne più del 70% degli aventi diritto e l’obiettivo è stato raggiunto alle 18 ora di Mosca. È molto improbabile che non vinca anche l’altra, scommessa: ottenere l’80/85% dei consensi, come prefisso dal Cremlino.

La scommessa dell’astensione

L’unico elemento per misurare il dissenso, si era ripetuto come un mantra, sarebbe stata l’astensione. Comunque la si voglia vedere, al di là della riuscita delle manifestazioni, proprio l’affluenza sembra confermare l’impressione che la maggioranza dei russi ami Putin e si fidi di lui, e che il dissenso è una minoranza. Forse più ampia di quanto non dica il Cremlino, ma pur sempre minoranza.

Secondo la legge elettorale, comunque, si è eletti presidente con oltre il 50% dei voti, altrimenti è previsto un ballottaggio tra i primi due candidati.

Questo sì che è facile da prevedere: non accadrà mai.

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