Elezioni in Iran, cittadini alle urne per il rinnovo del parlamento
Mondo ©GettySi terranno venerdì le elezioni per il rinnovo del parlamento iraniano: una consultazione che, secondo molti analisti, vedrà una bassissima partecipazione, ma che invece potrebbe avere un’importanza cruciale perché con queste si rinnova anche il Consiglio degli Esperti, che nomina la Guida Suprema, colui che in effetti guida la Repubblica Islamica
Non “come” ma, più banalmente, “quanto”. Nell’anno delle consultazioni mondiali anche la Repubblica Islamica paga il suo tributo alla democrazia e venerdì chiama alle urne 61 milioni di elettori per il rinnovo del Maijlis, il parlamento. Sono in pochissimi a credere che l’esito finale avrà esiti rivoluzionari, anzi. È più che scontato che i seggi andranno a uno schieramento conservatore, lo stesso che ha portato alla presidenza Ebraim Raisi, dopo la parentesi “progressista” di Hasan Rouani.
La campagna per il non voto
Per questo la campagna con l’hashtag “no vote” in Iran sta raccogliendo proseliti, in barba – è proprio il caso di dirlo – dell’ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema, che ha lanciato strali contro la propaganda anti voto.
Anche perché se è vero che sono elezioni parlamentari con il risultato assicurato, c’è un altro tassello – cruciale – che deve essere messo a posto, quello del Consiglio degli Esperti, quell’autorità composta da quattro religiosi e quattro “laici” che tra i vari compiti - più che altro consultivi – ne devono svolgere uno fondamentale: indicare la Guida Suprema.
L’anomalia Iran
L’Iran non è certamente un modello standard nella politica internazionale: non è una dittatura in senso stretto, ma un ibrido tra democrazia e teocrazia, in cui i cittadini hanno – o forse sarebbe meglio usare il condizionale – la possibilità di indicare chi eleggerà colui che in buona sostanza ha le redini della Repubblica. La Guida Suprema, infatti, ha l’ultima parola su quasi tutto, dalla politica estera a quella economica, fino alla pubblica sicurezza.
Il rebus della Guida Suprema
Khamenei, succeduto a Khomeini con una procedura non del tutto ortodossa, in quanto di rango non abbastanza elevato per assurgere al titolo di ayatollah, incarna l’interpretazione più conservatrice dell’ortodossia sciita. Dopo una vita spesa alla guida del paese, alla veneranda età di 87 anni, è legittimo che si pensi alla successione. Allo stato, non si vedono eredi all’altezza, ma bisogna fare in fretta, e chi lo deve indicare non può andare in una direzione diversa rispetto a quella seguita finora.
Il ruolo dei Basiji
Anche perché il problema non è squisitamente religioso. O almeno, non solo. Nei suoi 35 anni al vertice della Repubblica, Khamenei ha costruito una rete di potere, quella che tiene in mano la vera economia, che fa riferimento ai basiji, i “volontari” paramilitari che hanno costituito una sorta di esercito parallelo che gestisce l’ordine pubblico e fornisce i corpi speciali alle forze armate iraniane.
Ma non solo. Nelle loro mani passano gli appalti per le opere pubbliche, l’energia, oltre che – naturalmente - della difesa. Secondo stime approssimative nelle loro mani passa circa il 40% dell’economia iraniana.
L’economia, il dente marcio del regime
Un simile sistema di potere però è evidentemente permeabile alla corruzione, che infatti rappresenta uno dei cancri che hanno avvelenato un’economia dal potenziale enorme, visto che l’Iran possiede degli sconfinati giacimenti di petrolio.
Eppure, il combinato disposto di sanzioni occidentali, corruzione e ottusità dei vertici, selezionati in base alla fedeltà e non al merito, hanno fatto sì che l’economia iraniana precipitasse. Al punto che perfino la benzina scarseggia.
L’unico carburante che funziona, per ora, è il malcontento, crescente.
Il malcontento in crescita
Scesi in piazza prima per la crisi economica, poi per la morte di Masah Amini - la ragazza massacrata perché portava il velo in modo “indecente” - gli iraniani sono consapevoli di non poter ottenere molto con le proteste, soprattutto dopo aver subito alla brutale reazione del regime.
Possono però astenersi dal voto. Per dimostrare il loro dissenso e non avallare il regime. Che poi il regime si senta indebolito dalla scarsa affluenza è da vedere, ma sarebbe un segnale, uno dei tanti, che la legittimazione democratica della Repubblica Islamica, uno dei pilastri della rivoluzione khomeinista, sta vacillando. Soprattutto se si deve indicare una nuova Guida Suprema.
L’Iran sullo scacchiere internazionale
Tutto questo sarebbe preoccupante se l’Iran fosse anche isolato internazionalmente, ma così non è, tutt’altro. Proprio il giorno prima che i cittadini della Repubblica Islamica andassero alle urne è stato annunciato il lancio di un satellite iraniano attraverso un vettore russo. Una sorta di suggello di un’alleanza che è cresciuta con gli anni, nonostante l’iniziale diffidenza.
E così, dopo l’amicizia con la Russia, anche grazie allo scenario siriano, l’Iran ha trovato una sponda anche con la Turchia, con cui era entrata in attrito per l’egemonia dello scacchiere mediorientale. Uno, l’Iran, in quanto erede dell’Impero Persiano, l’altra, la Turchia, dell’Impero Ottomano. Storicamente rivali, ma alleati di comodo in un mondo che va sempre più polarizzandosi in Occidente e Oriente. Per questo l’Iran ha superato anche le antiche ruggini con l’Arabia Saudita, leader del mondo sunnita, e ha normalizzato le relazioni.
E in quest’ottica va vista anche l’amicizia sempre più stretta tra Pechino e Teheran, tanto che i cargo battenti bandiera cinese hanno avuto l’immunità garantita nel Golfo di Aden infestato dagli Houti, i miliziani sciiti dello Yemen che stanno paralizzando quel tratto di mare.
Un regime ancora solido, nonostante tutto
Insomma, la Repubblica Islamica si presenta all’appuntamento elettorale con il suo consueto carico di contraddizioni, una sorta di costante della sua storia. Lacerata al suo interno ma forte all’esterno.
E ancora in sella, ben lontano dal cadere.