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Anche la Cina ha un problema di denatalità. E non è una buona notizia

Mondo
Raffaele Mastrolonardo

Raffaele Mastrolonardo

Mica solo l'Italia si restringe. Pure il colosso asiatico, nel suo grande, vede la popolazione diminuire. E questo è un problema. Non solo per i cinesi

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Non siamo, noi italiani, gli unici ad avere un problema di denatalità. Anche i cinesi, per dire, si confrontano con il calo demografico. Solo che, trattandosi di un Paese da 1 miliardo e 400 milioni di abitanti, la scala del fenomeno risulta decisamente più grande. Incomparabilmente più ampia. 

 

 

Inoltre, visto che parliamo della seconda economia del mondo per dimensione nonché di una superpotenza geopolitica, la questione non riguarda solo loro ma un po’ tutto il globo. Non è un caso allora che le maggiori testate giornalistiche del pianeta si siano affrettate a riportare gli ultimi dati in proposito, i quali raccontano di come la popolazione cinese sia calata per il secondo anno consecutivo (in Italia siamo più avanti: scende dal 2018). Nel 2023, dice l’Ufficio nazionale di statistica della Cina, sono nati 9,02 milioni di bambini e sono morte 11,1 milioni di persone. Dunque, visto che l'aritmetica non mente, la popolazione è diminuita scendendo a 1 miliardo e 409mila 670 residenti. 

 

Ma se il restringimento degli abitanti riguarda solo l’ultimo bienno, la tendenza che ha portato a questo risultato è in corso da decenni. Il saldo naturale della popolazione, ovvero la differenza tra nati e morti, è infatti in discesa più o meno costante almeno dalla metà degli anni ‘80. 

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Come riporta il grafico sopra, nel 1987 si contavano 17 nati in più rispetto ai morti ogni mille abitanti. Questo dato si era più che dimezzato nel 2012: 7,5. Nel 2022, per la prima volta, la cifra è diventata negativa (-0,60) e nel 2023 è arrivata la conferma. Saldo di nuovo sotto zero: -1,48 nati rispetto ai morti per mille abitanti. Questo epilogo è frutto di vari fattori. Dai cambiamenti di costume indotti dalla crescita economica, alle decisioni del Partito comunista cinese che alla fine degli anni ‘70, per rallentare l’aumento demografico, ha introdotto la politica del figlio unico. Il programma è stato un successo, come abbiamo visto, ed è stato terminato nel 2016. 

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Solo che la sua fine non ha prodotto un immediato aumento dei tassi di fertilità. Il risultato è che oggi la Cina si ritrova con una popolazione in calo e sempre più anziana. Un quinto dei cinesi, quasi 300 milioni, ha almeno 60 anni. Il che crea preoccupazioni per il ricambio della forza lavoro e per la tenuta del sistema pensionistico, questioni che qui nel Belpaese abbiamo imparato a conoscere bene negli ultimi anni.

 

Come spiegava il New York Times lo scorso aprile, una Cina che fa fatica a trovare lavoratori per le sue fabbriche rischia di far aumentare i costi per i consumatori del resto del mondo e minaccia di amplificare i problemi di inflazione per quei Paesi che dipendono dall’importazione di prodotti cinesi. Non solo, una platea di consumatori cinesi più ristretta, continuava il quotidiano americano, non sarebbe una bella notizia per quei marchi globali, come Apple o Nike, che in Cina producono larga parte del fatturato. 

 

E dunque? Dunque vedremo. Ben sapendo però che, come ammoniscono i demografi e come insegna l’esperienza di Paesi tipo il Giappone, invertire la curva demografica una volta che è iniziata la china discendente è molto complicato. 

 

E questo vale per la Cina. Ma anche per l’Italia.

 

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