L’Italia sta davvero scomparendo? Tasso di natalità ai minimi e popolazione in calo. DATI

Cronaca
Raffaele Mastrolonardo

Raffaele Mastrolonardo

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Nelle ultime posizioni in Europa per quanto riguarda la fertilità, il nostro Paese va verso una decisa contrazione della popolazione di qui alla fine del secolo. Ma si può davvero invertire il trend?

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Un 52enne o una 52enne a spasso per le strade di una città ligure occupano, senza saperlo, una posizione speciale. Almeno in teoria, infatti, metà delle persone che incontrano nella loro passeggiata sono più giovani di loro. L’altra metà più anziane. Almeno in teoria, si diceva, o almeno nel regno della statistica. Cinquantadue (51,9 se vogliamo essere precisi) è infatti l’età mediana dei residenti della Liguria, vale a dire quel numero che divide in due parti eguali un insieme, in questo caso i residenti.


Ma 51,9 è un numero speciale non soltanto per i nostri immaginari frequentatori della riviera. Secondo i dati ufficiali dell’Unione europea, si tratta anche della cifra più alta tra tutte le regioni d’Europa, ad eccezione del Chemnitz in Sassonia, Germania settentrionale. Il che vuol dire che la Liguria, oltre ad essere la più anziana d’Italia, è anche la seconda regione più anziana d’Europa.

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Un Bel Paese sempre più vecchio

Come mostra il grafico sopra, l’exploit ligure non è un caso isolato. Anzi, è solo l’indizio più evidente di un fenomeno che interessa tutto il resto dello Stivale. L’Italia, come si vede, è ampiamente rappresentata in questa particolare classifica dell'anzianità dei territori, con ben otto presenze nelle prime quindici posizioni. Il risultato visivo è che il nostro Paese, insieme al nord della Spagna e al nord est della Germania, presenta la più alta concentrazione del continente di aree con una popolazione dall’età mediana superiore ai 48 anni (quelle più scure nella mappa).

 

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Trend di lungo periodo

Italia sempre più vecchia, insomma. E non è una novità. Nel senso che il processo che ha portato il Paese ad essere un caso degno di nota anche per una parte di mondo, l’Europa, caratterizzata tutta da un progressivo invecchiamento, è iniziato parecchi decenni fa. La fertilità, calcolata come il numero medio di figli per donna, ha toccato il suo apice a metà degli anni ‘60 con la fine del boom economico del dopoguerra. Un processo, questo, che ha fatto crescere la popolazione residente dai 47,6 milioni del 1952 ai 56,5 milioni del 1982. Da allora - a parte una piccola ripresa tra la fine degli anni ‘90 e il primo decennio del nuovo millennio -  la natalità è scesa costantemente mentre la crescita della popolazione ha rallentato per cominciare a decrescere negli ultimi anni. 

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Risultato: quasi 60 anni dopo quel picco, l’Italia è uno dei Paesi della Ue con il minore tasso di fertilità: 1,24 figli per donna. Solo Spagna e Malta presentano un valore più basso in questo indicatore.  

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Scenari futuri

Le conseguenze di questo processo sono sotto gli occhi di tutti e sono riflesse nella distribuzione demografica della popolazione che vira sempre di più verso l’argento a scapito della gioventù. Per fare un esempio, nel 1982, quando gli Azzurri di Enzo Bearzot conquistavano il mondiale in Spagna, un italiano su cinque aveva 14 anni o meno (il 19,7 per cento del totale). Oggi, nel 2023, questa percentuale è scesa al 12,7 per cento vale a dire quasi un residente su 8. 

 

Per il futuro le conseguenze di questa tendenza di lungo corso sono delineate dalle proiezioni sull’andamento della popolazione. Che, ovviamente, non sono una scienza esatta ma offrono un’indicazione di ciò che ci aspetta, tenendo conto di alcuni fattori che possono modificare il trend, dall’immigrazione alla mortalità e alla fertilità. 

 

Il quadro che emerge dalle previsioni è, sotto questo aspetto, abbastanza unanime: da qui al 2100 la popolazione dello Stivale, oggi 58,8 milioni, è destinata a contrarsi. Di quanto? Dipende dagli scenari. Si va dai 7 milioni in meno ipotizzati dalla proiezione standard alla sostanziale stabilità se da qui alla fine del secolo prefiguriamo un contesto di immigrazione ingente. Al contrario, se il flusso di immigrati fosse inferiore alle previsioni, la popolazione italiana potrebbe scendere fino a 44 milioni (12 in meno rispetto a quella odierna). Valori analoghi (41 milioni) se assumiamo che la fertilità resti bassa.

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Che fare?

Di fronte a questi scenari, forse anche per via della rinnovata attenzione al tema data dal governo Meloni, gli italiani sembrano preoccupati. Secondo un sondaggio di Quorum/YouTrend per Sky TG24, il 62 per cento degli abitanti dello Stivale si dice “abbastanza d’accordo” o “molto d’accordo” sul fatto che la denatalità “sia la minaccia più grave per l’Italia”. Insomma, sembra che il tema abbia fatto breccia nell’opinione pubblica.

 

Resta da capire quali siano, realisticamente, gli strumenti in mano ad un governo nazionale per intervenire su un fenomeno che riguarda quasi tutti i Paesi che raggiungono un certo livello di sviluppo e di benessere e che è determinato in tutta probabilità da un insieme di fattori.  

 

In un recente articolo dedicato alla situazione cinese, il New York Times notava che le misure messe in campo per aumentare la natalità - incentivi economici per le coppie che fanno figli, contributi per periodi di maternità e paternità più lunghi, sussidi per le cure parentali - sono costose. Il che non è una buona notizia per un Paese con alto debito e vincoli di bilancio come l’Italia. Ma non solo. Anche quando siano implementate con generosità, spiegava il quotidiano americano, queste politiche non sono miracolose, anzi spesso hanno effetti limitati. 

 

In Australia, per esempio, il baby bonus ha avuto un impatto immediato sulla fertilità ma di breve termine. 

 

E anche i governi che hanno avuto più successo con questi interventi misure, come la Francia, la Germania e le nazioni scandinave, non sono comunque riusciti a raggiungere un livello di fertilità pari 2,1 figli per donna, considerata la soglia necessaria per evitare la diminuzione naturale della popolazione, senza l’intervento dell’immigrazione.  

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