I punti oscuri del Qatargate, da Mani Pulite d’Europa a debacle della giustizia belga?

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Renato Coen

Renato Coen

Dalle attività segrete di polizia e Servizi belgi nel Parlamento europeo alle pressioni psicologiche sugli indagati. Ci sono diversi elementi che vanno chiariti e che potrebbero portare gli stessi inquirenti a dover rispondere di come è stata condotta l’inchiesta

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Doveva essere la Mani Pulite d’Europa, rischia di diventare una debacle per il sistema giudiziario belga.

Ci sono diversi elementi che vanno chiariti e che potrebbero portare gli stessi inquirenti a dover rispondere di come è stata condotta l’inchiesta. Sono tre le questioni più evidenti che emergono dai documenti riservati di polizia alla base delle indagini e che abbiamo avuto modo di consultare.

La Polizia belga “viola” il Parlamento Europeo

L’aspetto forse più clamoroso e che potrebbe provocare una reazione del Parlamento Europeo è l’attività che la polizia belga e i Servizi segreti hanno condotto all’interno dell’unica istituzione europea eletta dai cittadini a suffragio universale – un controllo ravvicinato dell’azione politica del Parlamento e dei suoi membri svolto senza alcuna informazione ufficiale pervenuta ai rappresentanti delle istituzioni europee.

Nei documenti riservati di polizia e servizi segreti dati ai giudici inquirenti appare infatti evidente come i poliziotti abbiano preso parte come spettatori a dibattiti ospitati dal Parlamento per trovare riscontri alle indagini che stavano conducendo. Nelle loro informative riferiscono di essere andati in parlamento, di aver preso i tempi di intervento dei singoli parlamentari e di aver annotato il segno politico delle loro dichiarazioni. Tutto questo sarebbe avvenuto senza che i vertici del Parlamento Europeo ne fossero a conoscenza. La polizia riferisce nelle carte anche di aver seguito la conferenza per l’Unione del Mediterraneo sempre per valutare le prese di posizione politiche dei parlamentari Ue.

Nello stesso tempo i servizi segreti indagavano sulle attività dei membri delle commissioni d’inchiesta parlamentare sul sistema di spionaggio Pegasus, quella per i diritti dell’uomo e quella sul Magreb.

La Presidenza dell’Europarlamento, interpellata da Sky TG24, ha confermato di non aver saputo nulla dell’inchiesta in corso sui suoi membri e nei suoi corridoi fino al giorno in cui, con un blitz, sono stati arrestati i primi sospetti. Non essendo però in possesso delle carte che provano l’attività degli inquirenti, rimanda ogni chiarimento alle autorità belghe e conferma di aver sempre collaborato al cento per cento per lo svolgimento delle indagini ogni volta che le è stato chiesto dai magistrati.

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Il trattamento degli indagati

La seconda questione riguarda il modo in cui è stato fatto uso della carcerazione preventiva e il contenuto degli interrogatori.

Antonio Panzeri è stato subito individuato come la mente e il principale beneficiario del sistema di corruzione che in cambio di mazzette da Marocco e Qatar indirizzava l’attività parlamentare a favore dei due Stati. Lui stesso è stato trovato in possesso di centinaia di migliaia di euro in contanti che inizialmente aveva giustificato come frutto delle donazioni alla sua Ong. Lui sembrava ammettere di aver nascosto i soldi al fisco ma non di aver ricevuto fondi neri da governi stranieri.

La situazione cambia quando, su richiesta dei magistrati belgi, vengono arrestate a Bergamo sua moglie e sua figlia. A quel punto Panzeri accetta di assumere il ruolo di “pentito”.

La polizia riferisce nei documenti riservati che l’uomo si raccomanda che in cambio delle sue confessioni escano dal carcere i suoi familiari e a lui siano garantiti massimo sei mesi di condanna ai domiciliari. I giudici accettano Ma in cambio chiedono all’ex europarlamentare due nomi: vogliono sapere chi fa parte del gruppo di corrotti. Lui fa il nome di Maria Arena e Mark Tarabella, due importanti politici e parlamentari europei belgi. A quel punto però, emerge dalle carte, l’investigatore “chiede che Panzeri dia altri nomi per siglare l’accordo fatto”. Sembra insomma che le due persone nominate da Panzeri non vadano bene, vedremo poi perché. Lui accetta ma si raccomanda che moglie e figlia siano liberate.

Sembra evidente la pressione ricevuta da Antonio Panzeri che, preoccupato per la sorte delle sue familiari, cambia linea difensiva coinvolgendo altri europarlamentari.

Più duro è stato il trattamento riservato alla vicepresidente del parlamento Eva Kaili, il cui padre era stato trovato in possesso di una borsa con centinaia di migliaia di euro provenienti da Panzeri e affidati al suo collaboratore Francesco Giorgi, compagno di Kaili. 

È rimasta cinque messi e mezzo in carcere lontano dalla figlia di due anni. Durante questo periodo le è stato chiesto ripetutamente di fare dei nomi, ma lei non ha cambiato linea difensiva, ha continuato a sostenere di aver affidato quei soldi al padre per restituirli a Panzeri dopo esser stata presa dal panico per il blitz in corso e di non avere la minima idea della provenienza di quel denaro. Dopo la scarcerazione l’ex vicepresidente del parlamento Europeo ha fatto ricorso alla sua istituzione di appartenenza per la violazione della sua immunità parlamentare che ha giudicato illegittima. E ha insistito sulla volontà degli inquirenti di farle fare nomi, qualsiasi nome, in cambio della scarcerazione. Offerta che ha sempre rifiutato. E’ stata scarcerata per ultima, dopo lo stesso Panzeri e il suo compagno Giorgi usciti dalla prigione con il braccialetto elettronico. Trattenerla per quasi sei mesi in mancanza di altri riscontri, confessioni o prove era diventato impossibile.  

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Il mistero Maria Arena

Il terzo aspetto controverso dell’inchiesta è quello legato alla figura di Maria Arena, eurodeputata belga, ex ministro del governo locale, e, fino a gennaio, presidente della Commissione sui Diritti dell’Uomo del Parlamento Europeo.

I rapporti tra lei e il giudice titolare dell’inchiesta Michel Claise hanno portato alla rinuncia di quest’ultimo lo scorso giugno. Suo figlio era in affari con il figlio dell’Arena.

Il passo indietro di Claise, cui è stata tolta l’inchiesta, era dovuto e necessario una volta emerso pubblicamente il conflitto d’interessi taciuto dal magistrato, ma hanno fatto insospettire molti a Bruxelles sul modo in cui si sono mossi gli inquirenti.

Il nome di Maria Arena infatti compariva nei documenti di polizia fin dall’inizio. In un’informativa dei Servizi veniva nominata come colei che insieme a Panzeri aveva ricevuto “alcune somme minori, oltre a doni di valore”.

Non solo, ma come abbiamo detto, quello di Maria Arena è stato il primo nome fatto da Antonio Panzeri quando ha deciso di confessare.

L’europarlamentare però non ha subito alcuna perquisizione fino a fine giugno, nessuna richiesta di rimozione dell’immunità, nessun arresto preventivo.

Solo a luglio, poco dopo l’uscita di scena del giudice Claise, è stata perquisita la sua abitazione e quella di suo figlio, e proprio in casa di quest’ultimo sono stati trovati 280mila euro in contanti di provenienza ignota.

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Come procede l'inchiesta

L’inchiesta, intanto, non sembra aver fatto altri passi avanti. Le giustificazioni di chi è stato trovato in possesso di denaro contante non convincono i giudici, ma questi non hanno per ora trovato riscontri alla loro ipotesi investigativa che parla di un’associazione criminale operativa nel Parlamento e corrotta da Stati terzi.

Il Parlamento Europeo, dallo scoppio dell’inchiesta, temendo di rimanere travolto dallo scandalo e dalla condanna dei media e dell’opinione pubblica ha preso misure serie e rigorose contro la libertà di azione di lobby ed agenti esterni. Alcuni parlamentari però chiedono anche che, nel caso sia confermata, sia fatta luce e condannata anche la violazione dell’istituzione parlamentare Ue da parte di polizia e Servizi belgi.

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