Giornata internazionale vittime di tortura, cos’è e perché si celebra il 26 giugno

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La ricorrenza è stata istituita dalle Nazioni Unite per ricordare il giorno in cui nel 1987 entrava in vigore la “Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”. A oggi sono 173 i Paesi che hanno firmato il documento e secondo l’ultimo rapporto della Special Rapporteur dell’Onu sulla tortura, Alice Jill Edwards, sono 108 le Nazioni nel mondo che hanno una legge per punire questo specifico reato. In Italia il reato di tortura è stato introdotto nel 2017

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Ogni anno, il 26 giugno, si celebra la Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 12 dicembre 1997 con la risoluzione 52/149. Una ricorrenza, spiega l’Onu, “in vista della totale eradicazione della tortura e dell'effettivo funzionamento della Convenzione contro la tortura e altre Pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti (Uncat)”. In Italia, il reato di tortura è stato introdotto nel 2017.

La Convenzione delle Nazioni Unite

La Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura si celebra il 26 giugno, giorno in cui nel 1987 entrava in vigore la “Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”. È l’articolo 1 del testo a spiegare cosa si intende per tortura: “Il termine 'tortura' indica qualsiasi atto mediante il quale grave dolore o sofferenza, sia fisica che mentale, è intenzionalmente inflitta a una persona per scopi quali ottenere da lui o da terzi informazioni o una confessione, punendola per un atto che lui o una terza persona ha commesso o che si sospetta abbia commesso, o intimidando o costringendo lui o una terza persona, o per qualsiasi motivo basato su discriminazione di qualsiasi tipo, quando tale dolore o sofferenza è inflitta da o su istigazione di o con il consenso o l'acquiescenza di un pubblico ufficiale o di altra persona che agisce in veste ufficiale. Non include il dolore o la sofferenza derivanti solo da sanzioni legittime, insiti in esse o ad esse conseguenti”. L’attuazione della Convenzione da parte degli Stati è monitorata da un organismo di esperti indipendenti, il Comitato contro la tortura.

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I fondamenti giuridici

La Uncat trova il suo fondamento innanzitutto nella “Dichiarazione universale dei diritti umani”, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948, ma anche nella “Dichiarazione sulla protezione di tutte le persone dall'essere sottoposte a torture e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti”, che risale al 1975.

I Paesi che hanno firmato Convenzione

A oggi sono 173 i Paesi che hanno firmato la “Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”, fra cui l’Italia, e secondo l’ultimo rapporto del marzo 2023 della Special Rapporteur dell’Onu sulla tortura, Alice Jill Edwards, sono 108 le Nazioni nel mondo che hanno una legge per punire questo specifico reato. Fra i firmatari della Convenzione, 10 Stati membri del Consiglio d’Europa non hanno un reato specifico per la tortura nel loro quadro giuridico: Bulgaria, Danimarca, Germania, Islanda, Monaco, Polonia, San Marino, Svezia e Ungheria. In Germania, Svezia e Svizzera la tortura è perseguita come reato universale.

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Il reato di tortura in Italia

Nel nostro Paese il reato di tortura è stato introdotto nel 2017, con la legge 110, ed è contenuto nell'articolo 613 bis (tortura) e 613 ter (istigazione alla tortura) del codice penale. L’iter parlamentare ha avuto inizio nel 2014 con un’indagine conoscitiva, voluta dalla Commissione Giustizia della Camera, che ha coinvolto fra gli altri il capo della polizia, i sindacati delle forze dell’ordine, l’avvocatura, l’Anm e alcuni magistrati. In particolare, si decise di lavorare a un reato specifico dopo la condanna ricevuta dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo in seguito ai fatti del G8 di Genova e, nello specifico, per quanto accaduto nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto. Le pene prevedono il carcere da 4 a 10 anni, che salgono da 5 a 12 anni se ad aver commesso il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio. Se la vittima riporta una lesione personale (lieve o grave), le pene sono aumentate di un terzo; se la lesione personale è gravissima sono aumentate della metà; se ne deriva la morte, quale conseguenza non voluta, la pena è la reclusione di 30 anni. Se invece “il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo”. Per quanto riguarda l’aspetto dell’istigazione alla tortura da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio (613 ter), è prevista la reclusione da sei mesi a tre anni se il soggetto - spiega il sito della Camera - “istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso”.

La pluralità delle condotte

Un aspetto di cui si è molto discusso è il passaggio dell’articolo 613 bis in cui si parla di “fatto commesso con più condotte”, che sembrerebbe indicare una non applicabilità del reato in caso di un singolo episodio di violenza o minaccia. Tuttavia, la Cassazione ha rilevato che questa locuzione va riferita non solo a una pluralità di atti ripetuti nel tempo, ma anche a più azioni violente perpetrate nello stesso momento.

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