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Guerra in Sudan, Tajani: "Tuteliamo italiani rimasti". Partiti bus con americani a bordo

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Lo ha assicurato il ministro degli Esteri al question time alla Camera, ricordando che l'ambasciata a Khartum è ora chiusa ma "rimane operativa col ricollocamento dell'ambasciatore e della sua squadra presso la missione diplomatica ad Addis Abeba. Tra coloro che non hanno abbandonato il Paese alcuni medici e sanitari di Emergency. Anche diversi cittadini Usa hanno lasciato la capitale in un convoglio scortato da droni

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"Il governo continuerà a tutelare gli italiani rimasti in Sudan su loro richiesta, principalmente militari e volontari di organizzazioni non governative". Lo ha assicurato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, al question time alla Camera, ricordando che l'ambasciata a Khartum è ora chiusa ma "rimane operativa col ricollocamento dell'ambasciatore e della sua squadra presso la missione diplomatica ad Addis Abeba per monitorare la situazione e mantenere il dialogo con le parti in conflitto".

Tra coloro che hanno deciso di rimanere in Sudan c’è Elena Giovanella, anestesista responsabile del reparto di Terapia Intensiva del centro Salam di Cardiochirurgia di Emergency di Khartum, insieme ad altri 14 operatori internazionali dell’Ong italiana. Hanno deciso di non abbandonare il Paese per rimanere a prestare servizio in soccorso della popolazione. Emergency è presente in Sudan oltre che con il centro di cardiochirurgia della capitale Khartum anche con i centri pediatrici di Mayo, Nyala nel Sud Darfur, e a Port Sudan. "Lavoro con Emergency in Sudan dal 2011 ed ho attraversato diverse fasi critiche del Paese come il colpo di stato, la deposizione del presidente Al-Bashir, la controrivoluzione. Ma la situazione non è mai stata così critica perché ci sono due eserciti contrapposti. Non avevamo mai visto in questi anni bombardare le case, è un evento nuovo e la popolazione è terrorizzata” ha raccontato Giovannella. Anche diversi cittadini Usa hanno lasciato la capitale a bordo di un convoglio di bus scortato da droni per fronteggiare eventuali minacce.

"Prima in salvo i pazienti"

Inizialmente aveva pensato anche lei di lasciare il Sudan quando la Farnesina ha messo a disposizione i voli per il rimpatrio in Italia, “ma poi quando oltre 20 persone dello staff nazionale, ossia Sudanesi, si sono detti pronti a rimanere per mantenere aperto l'ospedale non ho avuto dubbi nel restare anche per garantire le cure ai pazienti già operati che si appoggiano ancora a noi". “Sapevamo prima di venire qui che non era un Paese tranquillo, quando vieni a lavorare lo metti nel conto e un medico non può abbandonare i suoi pazienti. Se in futuro le condizioni peggioreranno e non ci consentiranno più di rimanere, allora prenderemo in considerazione l'idea di abbandonare il Sudan, ma dovranno, prima, essere messi in salvo i pazienti".

Il Centro Salam di cardiochirurgia di Emergency è l'unico ospedale totalmente gratuito di cardiochirurgia in una zona abitata da 300 milioni di persone, in cui arrivano trasportati gratuitamente da Emergency pazienti da tutto il continente africano E dove sono stati operati pazienti provenienti da una trentina di Paesi differenti. "Qui siamo tranquilli, siamo fiduciosi che non accada nulla al momento poiché ci troviamo come struttura a 30 km dall'area dove avvengono gli scontri - ha spiegato Elena Giovanella – qui non ci sono stati bombardamenti di case ed è una zona vicino al Nilo molto povera".

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Un convoglio di bus con circa 300 americani ha lasciato venerdì sera la capitale del Sudan devastata dalla guerra, iniziando un viaggio di 850 km verso il Mar Rosso, in quello che è il primo sforzo organizzato degli Usa per evacuare i propri cittadini dal paese. Lo scrive il New York Times. Il convoglio, che ha seguito un percorso di evacuazione utilizzato dall'Onu e da molte altre nazioni sin da domenica, è stato seguito da droni americani armati che volteggiavano in cerca di minacce. Il Sudan ospita circa 16.000 cittadini Usa, molti dei quali con doppia nazionalità.

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