Una donna dell'Arizona è stata condannata a sei anni di carcere per cospirazione volta a danneggiare un impianto energetico. Secondo il giudice, si tratta di atti di terrorismo interno
Un giudice federale ha condannato Ruby Montoya, un’attivista di 32 anni, a scontare sei anni in prigione per aver contribuito al danneggiamento dell’oleodotto Dakota Access Pipeline, di proprietà della Energy Transfer Partners, con sede in Texas.
Montoya, insieme alla 42enne Jessica Reznicek, aveva oltrepassato le recinzioni di sicurezza per poi dare fuoco ad alcune attrezzature e danneggiare la struttura con sostanze chimiche nel 2016 e nel 2017. Reznicek era stata condannata a otto anni di prigione nel 2021, dopo essersi dichiarata colpevole dell’accusa di cospirazione per danneggiare l’impianto energetico. Il giudice distrettuale degli Stati Uniti Rebecca Ebinger ha ordinato alla coppia di pagare più di 3 milioni di dollari in restituzione.
Cosa è successo nel 2016
Gli atti delle due donne si inseriscono all’interno del movimento di protesta del 2016 contro la costruzione dell’oleodotto sotterraneo Dakota Access Pipeline, che trasporta petrolio dalla Bakken Formation – una zona al confine tra Montana e North Dakota, due stati degli Stati Uniti che confinano con il Canada – fino all’Illinois, attraversando South Dakota e Iowa. A opporsi sono stati soprattutto i nativi americani Sioux della riserva di Standing Rock a causa di danni a importanti luoghi sacri per la comunità e dell’inquinamento delle acque dovuto al passaggio dell’oleodotto sotto il letto del fiume Missouri.
Per i giudici si tratta di eco-terrorismo
Per Montoya e Reznicek, un peggioramento della pena è stato determinato dall’applicazione di una legge penale che punisce gli atti di terrorismo interno.
Dopo la sentenza, l'agente speciale in carica dell'FBI Omaha Eugene Kowel ha dichiarato: “La sentenza ricevuta da Ruby Montoya invia un chiaro messaggio che coloro che commettono violenza attraverso un atto di terrorismo domestico saranno identificati, indagati e perseguiti”. Anche il procuratore degli Stati Uniti Richard D. Westphal è intervenuto: “La sentenza inflitta oggi dimostra che qualsiasi reato di terrorismo interno sarà indagato e perseguito in modo aggressivo dal governo federale. La gravità delle azioni dell'imputata ha giustificato la significativa pena detentiva inflitta dalla Corte e dovrebbe scoraggiare altri che pensano di commettere tali atti criminali". Il rafforzamento della pena per atti di terrorismo interno risale all'attentato di Oklahoma City del 1995, dopo il quale il Congresso ha emanato sanzioni più severe per scoraggiare atti di "intimidazione o coercizione" rivolti al governo o alla popolazione civile. Da quel momento, la legge è stata applicata quasi solo a imputati legati a gruppi estremisti all'estero come lo Stato Islamico o al-Qaeda o agli estremisti nazionali come Cesar Sayoc, che si dichiarò colpevole nel 2018 di aver inviato bombe ai membri del Congresso.
Applicazione "troppo ampia e incoerente" della norma
In seguito alla condanna di Reznicek e Montoya, alcuni hanno sollevato critiche secondo cui la legge sarebbe stata applicata in modo troppo ampio e incoerente. Un caso che ha fatto discutere riguarda la non applicazione della norma al caso di Guy Wesley Reffitt, un miliziano texano di 49 anni che è stato condannato a marzo dopo aver introdotto partecipato all’assalto a Capitol Hill, sede del Congresso americano, il 6 gennaio 2021, e aver minacciato di "attaccare fisicamente, rimuovere e sostituire" i legislatori. Prima di emettere una condanna a 87 mesi di reclusione ad agosto, il giudice statunitense Dabney Friedrich ha rifiutato la richiesta dei pubblici ministeri di considerare il reato di Reffitt come terrorismo interno.