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Uber Files, inchiesta svela pressioni sui governi europei: accuse anche a Macron

Mondo
©Getty

Oltre 180 giornalisti di tutto il mondo hanno esaminato più di 124mila documenti della multinazionale relativi al periodo 2013-2017, quando a guidare il colosso tech c’era Travis Kalanick, costretto poi a dimettersi. Si parla di un’opera di lobbying su politici e miliardari, ma anche di leggi violate e violenza contro i conducenti. L’azienda replica: “Non creeremo scuse per comportamenti passati che non sono in linea con i nostri valori attuali. Chiediamo di giudicarci da ciò che abbiamo fatto negli ultimi 5 anni”

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Uber Files. È questo il nome dell’inchiesta giornalistica che racconta come il colosso tecnologico del trasporto automobilistico - fra il 2013 e il 2017 - abbia messo in atto una gigantesca opera di lobbying per ottenere il sostegno di primi ministri, presidenti, miliardari, oligarchi e tycoon dei media. Ma non solo: si parla di violazione di leggi, inganni alla polizia e atti di violenza contro i conducenti. Fra i nomi di politici spicca quello dell’attuale presidente francese Emmanuel Macron, che al tempo era ministro dell’Economia e secondo l’inchiesta avrebbe fornito a Uber un "aiuto spettacolare". Fatti che risalgono al periodo in cui Uber era gestita dal co-fondatore Travis Kalanick, costretto poi a dimettersi nel 2017 dagli azionisti proprio per le sue azioni spregiudicate. L’azienda, commentando l’inchiesta, ha ammesso che sono stati commessi "errori e passi falsi", ma ha chiarito di essersi trasformata dal 2017 con l’attuale amministratore delegato, Dara Khosrowshahi: "Non creeremo scuse per comportamenti passati che chiaramente non sono in linea con i nostri valori attuali. Chiediamo invece al pubblico di giudicarci da ciò che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e da ciò che faremo negli anni a venire".

L’inchiesta di 44 testate internazionali

L’inchiesta Uber Files ha visto il lavoro di più di 180 cronisti di 44 testate internazionali, tra cui L'Espresso in esclusiva per l'Italia. Sono stati analizzati, spiega il periodico italiano, “oltre 124 mila documenti interni della multinazionale, ottenuti dal quotidiano inglese The Guardian e condivisi con l'International Consortium of Investigative Journalists (Icij)”. Il materiale al centro della fuga di notizie, spiega l’Espresso, “va dal 2013 al 2017 e comprende circa 83 mila email dei manager di Uber: quattro anni di messaggi e comunicazioni riservate che rivelano, in particolare, le pressioni su politici e amministratori pubblici di decine di nazioni, per evitare procedimenti giudiziari e piegare le norme statali agli interessi della multinazionale”.

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Le informazioni su Macron

Per quanto riguarda la Franca, l’inchiesta ricorda che proprio a Parigi nel 2014 ci fu il primo lancio europeo di Uber, che suscitò una dura resistenza da parte dell'industria dei taxi, culminata in violente proteste nelle strade. Nei documenti analizzati ci sono messaggi tra Kalanick e Macron, che avrebbe aiutato segretamente l'azienda in Francia quando era ministro dell'Economia, consentendo a Uber un accesso frequente e diretto a lui e al suo staff. In particolare, nonostante i tribunali e il parlamento avessero vietato Uber, Macron - scrive il The Guardian - accettò di lavorare con l'azienda per riformare le leggi del settore e firmò un decreto che allentava i requisiti per la licenza dei conducenti del servizio di trasporto privato. I file rivelano anche come l'ex commissaria Ue per il digitale Neelie Kroes fosse in trattative per unirsi a Uber prima della fine del suo mandato, a novembre 2014, e poi segretamente fece pressioni per l'azienda, in potenziale violazione delle norme etiche europee.

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Biden a Davos

Nell’inchiesta c'è anche un risvolto che riguarda Joe Biden. L’allora vicepresidente degli Stati Uniti arrivò in ritardo a un incontro con l'azienda al World Economic Forum di Davos, e Kalanick mandò un messaggio a un collega: "Ho fatto sapere ai miei che ogni minuto in ritardo è un minuto in meno che avrà con me". Secondo gli Uber Files, dopo aver incontrato Kalanick Biden avrebbe modificato il suo discorso preparato a Davos lodando l'azienda.

Italy - Operation Renzi

E non manca l’Italia. “Italy - Operation Renzi” - rivela L'Espresso - è il nome in codice di una campagna di pressione che aveva l'obiettivo, fra il 2014 e il 2016, di agganciare e condizionare l'allora presidente del Consiglio e alcuni ministri e parlamentari del Pd. Nelle mail dei manager americani, Matteo Renzi viene definito "un entusiastico sostenitore di Uber". Per avvicinarlo, Uber utilizzò, oltre ai propri lobbisti, personalità istituzionali come John Phillips, in quegli anni ambasciatore degli Stati Uniti a Roma. Ma il leader di Italia Viva ha spiegato di non aver "mai seguito personalmente" le questioni dei taxi e dei trasporti. E comunque il suo governo - precisa L'Espresso - non ha approvato alcun provvedimento a favore del colosso californiano.

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