Trattato di Maastricht, 30 anni fa la firma che definì i pilastri Ue: cos'è e cosa prevede

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Il 7 febbraio del 1992 i rappresentanti di 12 Paesi siglarono un documento che pose le basi dell'Unione europea. Dal rafforzamento della cooperazione alla cittadinanza europea fino all'istituzione della Banca centrale europea, ecco cosa è cambiato

Il 7 febbraio del 1992 i rappresentanti di 12 Paesi, Italia compresa, firmarono nella città olandese di Maastricht il trattato che da quel luogo prende il nome, alla presenza del Presidente del Parlamento europeo, Egon Klepsch. Questo documento, entrato poi in vigore il primo novembre del 1993, è stato parzialmente rivisto nel corso del tempo, ma rimane fondamentale per la nostra storia in quanto ha gettato le basi dell’Unione europea che conosciamo oggi. 

 

Una nuova fase

Come si legge sul sito del Parlamento europeo, il trattato segnò l’inizio di una “nuova fase del processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa”. Con la sua firma, la cooperazione tra Paesi venne rafforzata e allargata a nuovi ambiti in aggiunta a quello economico. Si decise infatti di istituire una politica estera e di sicurezza comune per salvaguardare l’indipendenza del blocco, preservare la protezione internazionale, ma anche consolidare la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani. Si stabilì inoltre di coopeare in materia di giustizia e affari interni: una scelta che apriva la strada all’introduzione di controlli esterni alle frontiere, alla creazione di un ufficio per lo scambio di informazioni tra le forze di polizia nazionali e allo sviluppo di una politica comune in materia di asilo. Gli altri fulcri del trattato erano le Comunità europee, ovvero le tre organizzazioni che avevano dato vita alla collaborazione in ambito economico. Si trattava della Comunità economica europea, della Comunità europea del carbone e dell’acciaio e della Comunità europea dell’energia atomica, anche nota come Euratom.

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Gli altri cambiamenti

Il trattato di Maastricht viene considerato così importante perché è intervenuto anche su altre questioni. Il documento ha infatti fornito la base giuridica per altre sei politiche comuni (le reti di trasporto trans-europee TEN; le politiche industriali; la protezione del consumatore; l’istruzione e la formazione professionale; i problemi giovanili; la cultura). Si è poi introdotto il concetto di cittadinanza europea e sono stati apportati dei cambiamenti agli organi istituzionali. I poteri del Parlamento, che già esisteva, sono stati rafforzati, si è introdotta una procedura di codecisione e si è data anche alla Commissione la possibilità di iniziativa legislativa, a determinate condizioni. Non solo. Il trattato ha gettato anche le basi per l’unione monetaria, creando le premesse per l'euro. 

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La nascita dell'euro

L’idea di introdurre una nuova moneta non era nuova. Come ricorda il sito della Banca centrale europea, nel 1989 - quindi prima della firma del trattato - i leader europei si erano impegnati a inserirla gradualmente, raggiungendo prima altri obiettivi. Il primo step prevedeva l’introduzione della libera circolazione dei capitali fra gli Stati membri. La seconda fase, invece, doveva essere incentrata sul rafforzamento della cooperazione fra le banche centrali nazionali e un maggiore allineamento delle politiche economiche degli Stati membri. L’introduzione dell’euro fu l’ultimo passaggio di questa transizione: fece ufficialmente la sua comparsa il 1° gennaio 1999 e, durante i primi tre anni, venne utilizzato solo a fini contabili e per i pagamenti elettronici. Dopodiché, entrò ufficialmente in circolazione. Questo non sarebbe potuto avvenire senza il trattato di Maastricht, che ha anche istituito la Banca centrale europea (BCE) e il Sistema europeo di banche centrali, ha disciplinato il funzionamento della moneta unica e definito i criteri per il suo utilizzo. Una di queste prevedeva infatti che il tasso d’interesse di un Paese non dovesse eccedere di oltre 2 punti percentuali quello dei tre Stati membri che avevano ottenuto i migliori risultati.  Un’altra che il disavanzo annuo di bilancio di un Paese non dovesse portarsi oltre il 3% del prodotto interno lordo (PIL) e il debito pubblico complessivo non dovesse superare il 60% del PIL. Queste regole - anche note come “criteri di convergenza” o “vincoli di Maastricht” - sono tuttora tema d’attualità poiché sono quelle ancora in vigore per decidere se un Paese può entrare nell’area euro, e sono state poi riprese per formularne di nuove con l’obiettivo di assicurare la stabilità del blocco, tenendo tra l’altro sotto controllo il debito pubblico dei Paesi membri. 

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